Vittorio Zucconi: Pena di morte, svolta dell’Fbi

12 Gennaio 2006
Trent’anni esatti, e 1.004 morti, dopo la riapertura dei bracci della morte nel 1976, anche l’infallibile Fbi comincia ad avere qualche dubbio sulla forca. La massima autorità di polizia federale ha cominciato a riesaminare tutti i casi di quelle mille e più vittime del patibolo nei trent’anni trascorsi da quella famosa sentenza della Corte Suprema. Soprattutto, cominceranno a rivedere le prove contro i 3 mila e cento uomini e donne oggi rinchiusi in attesa dell’esecuzione.
Non è un pentimento, quello che ha mosso gli agenti dell’Fbi. È il sospetto che le polizie, e lo stesso laboratorio scientifico dei G-men a Washington, abbiano pasticciato con le impronte digitali, tanto spesso usate e accettate come prove inconfutabili.
Da venerdì scorso, da quando in un comunicato stampa passato in sordina e ripescato soltanto ieri dal quotidiano ‟Usa Today”, il "Federal Bureau of Investigation" ha dato la notizia di questa sua perestrojka delle ditate, ci sono almeno nove cuori che battono più un fretta in nove penitenziari statali e federali attraverso gli Stati Uniti, quelli dei morituri che dovrebbero essere uccisi entro la fine di gennaio. Non è detto affatto che il riesame delle impronte attribuite a loro su armi dei delitti e nelle scene del crimine, li scagioni, perché ‟l’impronta digitale rimane una prova di massima attendibilità”, ha spiegato il direttore del laboratorio di indagini forensi, Bruce Budowle. Ma c’è una microsperanza in più. E soprattutto c’è il segnale che anche nel cuore dell’apparato investigativo più autorevole del mondo, come ormai negli uffici di molti governatori di Stati, si è almeno insinuato il sospetto raggelante che fra quei mille e quattro morti e fra i tremila e cento in lista d’attesa ci possa essere stato e ci sia qualche innocente.
Non tutte le impronte digitali di imputati e di condannati finiscono nel forensic laboratory di Pennsylvania Avenue a Washington, a pochi passi dalla Casa Bianca, dove ha sede l’Fbi. Ma questo laboratorio, che dal 1999 ha aggiunto alle proprie attrezzature anche uno schedario elettronico che raccoglie e confronta le impronte di 44 milioni di americani, è il tribunale di ultima istanza, la centrale i cui risultati non si discutono. Quando un crimine federale è commesso, o quando un delitto soggetto alla giurisdizione di uno Stato lo merita, le impronte arrivano a Washington. L’Fbi le studia. Il computer le confronta con quelle archiviate per varie ragioni e sputa il nome della persona corrispondente. Il margine di errore nelle impronte digitali è di uno a un milione, minuscolo ma non insignificante.
Da quando un antropologo francese, Alphonse Bertillon, inventò nel 1870 il sistema di catalogazione e di identificazione attraverso i polpastrelli, la tesi del ‟non ci sono due impronte uguali” ha fatto spesso cilecca. Il "sistema Bertillon" ebbe una sonora smentita nel 1903, quando un condannato a morte nel penitenziario di Leavenworth scoprì un suo omonimo rinchiuso nello stesso braccio della morte per lo stesso omicidio. Era il suo gemello monovulare. E un altro caso di impronte ingannevoli esplose 18 mesi or sono, dopo la strage di Madrid. Proprio l’Fbi arrestò in Oregon un legale americano convertito all’Islam, dunque automaticamente sospetto, Brandon Mayfield, perché un set di impronte rilevate nella stazione di Atocha furono attribuite, dal "cervello" dell’Fbi, a lui. L’avvocato fu detenuto per due settimane, descritto come l’inevitabile "mostro" di Al Qaeda e poi, con riluttanti scuse, rilasciato, quando dimostrò senza possibile dubbio di essersi trovato in Oregon, a dieci mila chilometri da Madrid, il giorno della strage. Soltanto la prova del Dna, del materiale genetico di una persona, è considerata davvero definitiva. Se il campione è abbondante e lo studio della "sequenza" del Dna completo, l’errore è misurabile in uno su miliardi, dunque l’identificazione è di fatto assoluta. Nove condannati a morte sono stati scarcerati e scagionati negli ultimi mesi grazie al Dna, mentre in Internet, si possono trovare siti, con una semplice ricerca della parola "fingerprints", impronte digitali, che insegnano tecniche per falsificarle.
Per rassicurare il pubblico dei forcaioli, e anche se stesso, l’Fbi ha comunque fatto sapere di avere già rivisto i dossier dei 92 uccisi fra quei 1004 dal 1976 per i quali il suo laboratorio aveva accoppiato le impronte a un volto e di non avere trovato errori. Per i 3 mila in attesa, sarà fatta d’ora in poi una revisione completa delle prove forensi un mese prima della data prevista di esecuzione. Per quei nove che hanno l’appuntamento col boia entro il mese, una minuscola illusione in più. Per i dirigenti politici del Paese, un altro appiglio per imparare a diffidare di una pena perfetta come la morte inflitta da un sistema intrinsecamente imperfetto come la giustizia umana. Il governatore della Virginia ha già fatto un passo oltre l’Fbi: ha ordinato che, ove esistano materiali, il test del Dna venga fatto per tutti i condannati a morte nel suo Stato. Qualcosa, poco alla volta, si scioglie nel ghiacciaio.

Vittorio Zucconi

Vittorio Zucconi (1944-2019), giornalista e scrittore, è stato condirettore di repubblica.it e direttore di Radio Capital, dove ha condotto TG Zero. Dopo aver cominciato nel 1963 come cronista precario a …