Umberto Galimberti: Ma il sacro esige rispetto assoluto

07 Febbraio 2006
Jean Daniel concludeva, qualche giorno fa su questo giornale, il suo articolo La lezione di Voltaire con queste parole: ‟Le caricature del giornale danese possono essere condannate in nome dell’arte e della sensibilità, ma non si possono vietare in nome dei principi di civiltà”. Non sono d’accordo, perché tra i principi di civiltà c’è anche l’assoluto rispetto delle religioni altrui. E quando dico "assoluto" mi riferisco al fatto che la religione, siccome affonda le sue radici nella parte pre-razionale di ciascuno di noi, dove è anche la matrice della nostra identità e della nostra appartenenza, se non vogliamo offendere questa matrice, nei confronti della religione propria e altrui dobbiamo avere tutti il massimo rispetto. Quanto poi alla sensibilità, la nostra è così rozza da non farci avvertire che il rapporto che noi occidentali laicizzati abbiamo con la nostra religione (cristiana) non è lo stesso che i musulmani hanno con la loro? Se, in occasione del Natale, un vignettista musulmano rappresentasse su un giornale arabo la nascita di Gesù su una piattaforma per l’estrazione del petrolio, invece che in una mangiatoia, noi, forse, per effetto della nostra laicità, ci limiteremmo a sorridere. Ma la laicità, che noi abbiamo guadagnato a fatica e non ancora del tutto da soli due secoli, non è ancora una conquista del mondo musulmano. E non è con le vignette che mettono in ridicolo il loro profeta che si accelerano i processi culturali e storici. Che reazione avrebbero gli ebrei se, in occasione di un’occupazione dei territori palestinesi, qualche giornale pubblicasse quelle terribili vignette, frequenti sulla stampa fascista e nazista, che denigravano gli ebrei? Quanto poi alla libertà di satira, a cui fa riferimento Vittorio Feltri su Libero e Giordano Bruno Guerri su Il Giornale, noi italiani, e soprattutto la parte politica che quei giornali sostengono, dopo l’allontanamento dagli schermi televisivi dei nostri uomini di satira, per non parlare dei giornalisti, dovremmo essere gli ultimi a metter parola. Lo stesso dicasi per la libertà di stampa. Che ne sappiamo davvero della guerra prima in Afghanistan e poi in Iraq, e delle carceri di tortura disseminate in Europa, oltre alle informazioni che ci provengono dall’amministrazione americana? Voltaire, ci ricorda Jean Daniel, ha scritto: ‟Non sono affatto d’accordo con ciò che dite, ma mi batterò fino alla morte perché nessuno vi impedisca di dirlo”. Questo è senz’altro il nostro supremo principio di civiltà, ma ci siamo arrivati solo due secoli fa. Prima con le Crociate e poi con l’Inquisizione, ci comportavamo esattamente come si comportano con noi i musulmani. I processi storici sono lenti come i processi culturali che coinvolgono le matrici antropologiche dei popoli. Vogliamo lasciare anche ai musulmani il loro tempo? Pretendere reciprocità di comportamenti oggi significa non avere alcuna sensibilità in ordine ai tempi che i processi culturali e antropologici richiedono. Significa, direbbero gli studiosi di antropologia comparata: ‟Imperialismo culturale”. ‟Gioca coi fanti e lascia stare i santi” dice saggiamente un proverbio popolare. Nel sacro, nel santo affondano, infatti, in modo pre-razionale, l’identità e l’appartenenza di un popolo. E proprio perché la matrice è pre-razionale non c’è argomento razionale che tenga. Per questo, come opportunamente ha scritto su ‟Repubblica” Piero Ottone, le religioni al massimo si discutono, ma non si dileggiano con vignette derisorie che, lungi dall’avvicinare i popoli e le culture, li provocano e li rendono ancora più nemici.

Umberto Galimberti

Umberto Galimberti, nato a Monza nel 1942, è stato dal 1976 professore incaricato di Antropologia Culturale e dal 1983 professore associato di Filosofia della Storia. Dal 1999 è professore ordinario …