Vittorio Zucconi: Un copione già visto

09 Marzo 2006
In una surreale atmosfera di déja vu, di replica di un tragico film già visto esattamente tre anni or sono, l’amministrazione Bush, l’Europa, le Nazioni Unite stanno apparentemente rimettendo in scena il copione della guerra in Iraq per applicarlo all’Iran. Rivediamo l’ostinazione, le finte e le minacce della nazione bersaglio, le chiarissime allusioni alla guerra del vicepresidente Cheney e dell’emissario americano al Palazzo di Vetro, Bolton, il tortuoso affannarsi delle grandi potenze e del loro impotente organismo, il Consiglio di Sicurezza.
Uno show talmente già visto che la conclusione sembra inevitabile e scontata. Una nuova guerra preventiva contro l’Iran. A Washington circolano addirittura scenari di un attacco globale simultaneo alle installazioni nucleari di Iran e Corea del Nord, autorizzato da una direttiva segreta del ministro della difesa Rumsfeld, sotto il titolo macchinoso ma eloquente di ‟Ordine Interinale di Attacco Globale”.
L’Iran di Ahmadinejad farebbe cosa saggia a prendere molto sul serio l’ammonimento di colui che, fingendosi il copilota, è in realtà il navigatore di questa presidenza Bush, il vicepresidente, quando dice in pubblico: ‟Noi non permetteremo all’Iran di possedere la bomba atomica”.
Sarebbe davvero grottesco se Bush, dopo avere devastato un Iraq che non possedeva armi nucleari, permettesse poi all’Iran di entrare nel ‟nuclear club”.
Ma il fatto che, nel terzo anniversario dell’invasione, ci si trovi costretti a replicare la sceneggiatura scritta per Saddam Hussein dovendo – esattamente come allora – sperare nella ragionevolezza degli irragionevoli, è la prova più devastante del fallimento del progetto per il nuovo secolo americano, il documento fondante della ideologia interventista. Questo, secondo il libro dei sogni, dovrebbe essere il momento di incassare i dividendi dell’investimento in sangue, credibilità e tesoro, fatto in Iraq.
Il risultato sono invece stati la vittoria elettorale di un fanatico a Teheran, il successo del braccio politico del terrorismo palestinese con Hamas, le minacce di Gheddafi all’Italia, la frammentazione irachena in partiti religiosi e tribali, l’ingresso di un battaglione di ‟Fratelli Musulmani” nel parlamento egiziano mentre gli oppositori moderati di Mubarak venivano arrestati, e il ritorno prepotente sulla scena di una Russia con vanità imperiali, che finge di mediare tra Washington e Teheran, ma di fatto si propone come protettrice dell’Iran sciita. Tutto ciò mentre nel mondo, non soltanto islamico, la credibilità della intelligence americana è stata devastata dagli effetti speciali e dalle bufale spacciati al mondo per verità sulle armi di Saddam.
L’ostentato manicheismo di questa amministrazione americana ‟senza se e senza ma”, che aveva promesso di usare sempre lo stesso metro per tutti, senza badare a cadenti istituzioni come l’Onu, naufraga nella pratica quotidiana del più evidente e sfacciato relativismo. La decisione di incoraggiare la corsa alle armi nucleari dell’India, una nazione che non ha mai sottoscritto il Trattato di Non Proliferazione, mentre il Pakistan viene rimproverato per avere la propria bomba, si spiega soltanto con il più cinico metro dei ‟due pesi e due misure”. Ha raccontato Kofi Annan, in un’intervista alla tv Pbs, che il governo di Teheran si è infuriato e irrigidito quando ha visto Bush benedire l’arsenale nucleare indiano. Ai nostri occhi, la doppiezza può apparire giustificata dalle ben diverse credenziali dell’India rispetto alle farneticazioni di Teheran contro ebrei e Israele. Ma ai loro occhi, quelli che contano, il diverso trattamento puzza di ‟razzismo” e come tale viene venduto alle masse inquiete e fameliche.
Il grande disgelo democratico promesso dagli ideologi americani è divenuto il gelo di nazionalismi e fanatismi consolidati nell’odio per questa America che ora si trova di fronte allo stesso paradosso di tre anni or sono. Se accetta la ‟finzione di un accordo” con Teheran, come scrive il Washington Post, non si capisce perché non abbia accettato di credere anche a Saddam Hussein. Se lancia azioni di guerra, essendo un’invasione in forze impensabile e materialmente impossibile nelle condizioni in cui si trova l’esercito americano, dovrà misurasi poi con l’universo musulmano sciita, che ha in Iran il proprio cuore. Senza nessuna garanzia di colpire gli impianti, pare tremila, nei quali gli iraniani hanno disperso e nascosto le loro ricerche. Dovrebbe ora spettare proprio alle Nazioni Unite e alla Agenzia internazionale per l’Energia atomica, guidata da un uomo, el-Baradei, che invano tentò di dire che Saddam non aveva armi nucleari, salvare Bush dal vicolo cieco di una crisi che la stessa amministrazione ha generato, radicalizzando il mondo musulmano. La prospettiva di questo Iran armato di bombe e di materiale atomico è intollerabile.
Ma un mondo dove la monopotenza americana decida dove, quando, chi bombardare non è rassicurante. Tra noi, e un Iran bombardato o armato di testate nucleari, ormai ci sono soltanto l’opinione pubblica americana disillusa, e quelle Nazioni Unite che Washington voleva demolire e ora spera di ricostruire, per salvare Bush da sé stesso.

Vittorio Zucconi

Vittorio Zucconi (1944-2019), giornalista e scrittore, è stato condirettore di repubblica.it e direttore di Radio Capital, dove ha condotto TG Zero. Dopo aver cominciato nel 1963 come cronista precario a …