Michele Serra: Le lacrime divise per Marco Biagi

21 Marzo 2006
In un triste weekend bolognese il professor Marco Biagi è stato commemorato, quattro anni dopo la sua morte per mano delle Brigate Rosse, nella più totale discordia dei vivi. Le cronache disegnano una desolante e perfino grottesca mappatura del ricordo, frammentata in piccole cerimonie e convegni e messe, tutti separati da tutti, la famiglia in chiesa, il Comune sotto i portici che furono teatro della ripugnante esecuzione, gli amici di Biagi che ripercorrono in bicicletta i suoi ultimi metri dalla stazione a casa, e per contorno tante piccole rancorose attribuzioni di legittimità a ricordare. La privatizzazione della memoria. Non fu così quattro anni fa, quando neppure lo scandalo o l’inciampo (fate voi) della mancata protezione governativa a un intellettuale esposto e minacciato riuscì a incrinare, pur nella vampa delle polemiche, l’unanimità del dolore. Bologna si sentì offesa, tutta, da un omicidio politico idiota e criminale. Città purtroppo avvezza a funerali politici, al sangue civile versato da stragi seriali, di sordida matrice eversiva, Bologna venne freddata una volta di più proprio nel cuore del suo daffare intellettuale e universitario. Si passava dal ghetto, dove la famiglia Biagi abitava, nel paesone borghese e turrito che fa da centro a Bologna, si conversava a bassa voce con gli amici e i conoscenti sostando brevemente, discretamente davanti al muro che raccolse l’ultimo respiro del professore, si diceva lo schifo, la rabbia e il dispiacere.
Oggi, a giudicare dalle pagine dei giornali nazionali e locali che rigurgitano di schizzinosi distinguo, e dall’assurda e dolorosa diaspora di un lutto declassato da comunitario a fazioso, non è più così. Bologna, nel quarto anniversario dell’omicidio, non è riuscita a organizzare la memoria in modo tale che escludesse, come sarebbe stato giusto e pure ovvio, solo gli sparatori.
Provare a capire perché questo sia accaduto è, di per sé, argomento ostico. Rischia, a sua volta, di rinfocolare meschinità di ogni risma. Certo, due cose si possono dire e anzi vanno dette: la prima è che il clima di astio politico nazionale certamente ha contaminato e aggravato le incomprensioni cittadine. La seconda, particolarmente grave, è che a innescare molte delle polemiche è un pregiudizio odioso e inaccettabile: che l’accordo o il disaccordo con le idee professate da Biagi, riformatore tra i più eminenti della legislazione sul lavoro, sia di per sé un elemento che autorizzi, o sconsigli, la partecipazione al lutto. Come se avere detto allora, o dire oggi, cose difformi da quelle espresse da Marco Biagi, sia di per sé un elemento di complicità oggettiva con un omicidio politico.
Questo concetto, oramai sdoganato in dichiarazioni politiche anche autorevoli, è uno dei segni più inequivocabili del livello di inciviltà che ha raggiunto, nel nostro paese, il dibattito pubblico. Non v’è alcun nesso morale, e perfino alcun nesso logico, tra la normale dialettica politica e la decisione di un nucleo di criminali di assassinare un cittadino innocente. E la sovrapposizione capziosa tra dissenso e violenza è, sempre, uno dei più inaccettabili imbrogli politico-intellettuali che chiunque, a destra come a sinistra, possa mettere in atto ai danni della libertà di espressione, ivi compresa la libertà di piangere un morto in nome di una comunità intera e non di una delle tribù che la abitano, e se ne contendono il controllo politico.
Quando venne assassinato dalle Brigate Rosse il professor Sergio D’Antona, che aveva lavorato contiguamente al governo di centrosinistra, nessuno, fortunatamente, osò tacciare di illegittimità il lutto degli avversari politici. Qualche scellerata gaffe venne consumata anche allora, ma non credo che nessuno, in questo paese, consideri D’Antona una vittima di parte piuttosto che, come è, una vittima di tutti. Perché non dev’essere uguale per Marco Biagi? Perché un cittadino bolognese che avesse voluto, nei giorni scorsi, manifestare il suo lutto, dev’essersi trovato nella penosa, imbarazzante situazione di dover scegliere il luogo del lutto a scapito di altri, "contro" altri?
Possibile che a Bologna non ci sia una persona di buona volontà, e di animo forte, che riesce a parlare con tutti, a far ragionare tutti, a far chinare a tutti la testa di fronte al dolore?

Michele Serra

Michele Serra Errante è nato a Roma nel 1954 ed è cresciuto a Milano. Ha cominciato a scrivere a vent’anni e non ha mai fatto altro per guadagnarsi da vivere. …