Vittorio Zucconi: La rivolta dei nuovi schiavi d’America

04 Maggio 2006
Gli uomini che non esistono dilagano nelle strade di cinquanta città da New York a Los Angeles, da Chicago e Miami, un fiume di americani non americani. Svuotano cantieri, campi, case di riposo e officine, terrorizzano l’America delle code di paglia e delle frontiere colabrodo, scatenano la collera di chi un giorno fu come loro, ma in loro non vuole riconoscere più sé stesso. La rivolta dei nuovi schiavi, gli almeno 10 milioni di immigrati clandestini che lavorano, vivono, consumano senza esistere, ha scosso una nazione di immigrati come non avveniva più da quando le strade erano sommerse da un altro popolo di invisibili, dai neri, e poi dalle manifestazione pacifiste contro il Vietnam. Quanti siano stati davvero gli immigrati clandestini che hanno boicottato per un giorno la nazione che li vuole usare senza vederli, e hanno tutti rischiato di perdere anche quel miserabile lavoro per il quale sono accorsi dal Sud, nessuno sa. Forse un milione, forse due, certamente molti, ammassati in cortei impressionanti, allegri e spaventosi per coloro che, echeggiando gli stessi temi che sentiamo agitare in Italia da chi vuol attizzare e sfruttare il terrore della ‟minaccia islamica”, tremano per la propria "identità" insidiata da questo popolo di aliens. E ipotizzano addirittura che la marea di wetbacks - di schiene bagnate, come sono sprezzantemente chiamati i clandestini che attraversano la frontiere del Rio Grande - sia l’avanguardia di una reconquista messicana delle terre annesse agli Stati Uniti, dalla California al Texas, passando per l’Arizona e il New Mexico. Una nuova Alamo. Neppure gli organizzatori, neppure quei movimenti di sinistra che pure ricordavano il successo del sindacalista Cesar Chavez quando organizzò il boicottaggio della lattuga in California, si aspettavano una tale fiumana di uomini, donne, bambini, assolutamente pacifici e senza un solo incidente, nelle strade di quelle città che ormai funzionano grazie al "popolo invisibile" di operai, badanti, infermiere, camerieri, giardinieri, stradini, artigiani, personale di pulizia senza permesso di soggiorno. Un’armata senza diritti, senza nome, senza status che contribuisce, secondo Standard & Poor’s, a quasi il 4% del prodotto interno lordo americano, 200 miliardi, e costa appena 10 miliardi di dollari in assistenza sanitaria e scuole. Si sono mossi oggi, questi ‟alieni illegali”, perché da settimane si contorce alla Camera e al Senato una legge di riforma, che dovrebbe regolare finalmente il caos dell’immigrazione clandestina e che si insabbia nel duello tra i personaggi come il deputato italo-americano Tancredo, crociato delle espulsioni e deportazioni in massa dei ‟criminali”, pur essendo lui stesso nipote di nonni immigrati, e i compromessi che vorrebbero assorbire quei 10 (o venti, secondo altri) milioni di sans papiers e poi sigillare le frontiere, secondo una proposta congiunta destra-sinistra, firmata da Kennedy e dal repubblicano McCain. Chiudere, ma come? Con un muro, con una barriera di cemento lunga due mila chilometri dalle coste del Pacifico a San Diego fino al Golfo del Messico e al Texas, alla maniera di Berlino o della Palestina. Ed è quel muro che ha spinto l’armata invisibile per le strade, che ha sollevato pensieri cupi in una nazione che ha sempre fatto dell’accoglienza ai popoli stanchi, oppressi e affranti del mondo la propria ragione di esistere. E che ora, esasperata da un’immigrazione divorante che porta almeno mezzo milione di ‟illegali” all’anno dal Centramerica, si ribella. Si organizzano e si armano brigate spontanee di minutemen, dal nome dei patrioti settecenteschi pronti a imbracciare le armi in un minuto per combattere gli inglesi, che pattugliano le frontiere colabrodo dell’Arizona e del Texas. Il direttore dei ‟neo-pat”, Stephen Eichler, ha aperto un sito internet di reclutamento e finanziamento che ha 36 mila contatti al giorno e ha ricevuto già mezzo milione di dollari per armare i vigilanti. I sondaggi dicono che due terzi degli americani si oppongono a ogni forma di amnistia per i clandestini e sognano l’impossibile sogno di rispedirli tutti oltre la frontiera, verso Messico, Salvador, Nicaragua, Guatemala. La trovata di lanciare il sacro inno americano in versione spagnola, ‟Nuestro Himno”, ha fatto arrabbiare anche Bush, che pure è tra i moderati in questa lotta, perché conosce il peso del voto dei latinos negli stati del Sud, indispensabili al Partito repubblicano. Per questo il popolo invisibile ha voluto farsi vedere, per far toccare con mano agli ex immigrati oggi cittadini, quanto cruciale sia ormai il loro lavoro da nuovi schiavi. ‟Siamo i cinesi d’America che tengono bassi i salari”, ‟siamo le braccia senza le quali non mangereste pomodori, fragole, lattuga, carciofi, o li paghereste il doppio”. ‟Siamo quelli che lavano le lenzuola nei vostri ospedali”, gridavano lungo le strade, sotto lo sguardo di chi non vuole ammettere di essere ormai, come tutte le nazioni ricche, "clandestino-dipendente". ‟Un muro sarebbe un orrore anti-americano e un’idiozia costosa”, ha detto la governatrice dell’Arizona, Janet Napolitano, ovviamente un’immigrata italiana, ‟perché l’esperienza ci insegna che quando si costruisce un muro di tre metri, qualcuno costruirà subito una scala di quattro metri”. Tutti sfruttano i clandestini, e nessuno li ama, neppure quell’America nera che i bianchi cercano di eccitare spiegando che essi portano via lavoro ai figli dei ghetti, nella solita rissa fra i poveri, stuzzicata dai ricchi per controllarli meglio. Una sola azienda è stata incriminata finora, nonostante le severa legge, per avere assunto illegali. Era una multinazionale danese, puro gesto di demagogia dimostrativa. Ma ieri, Primo maggio, tre vecchietti di Los Angeles su quattro sono rimasti chiusi nelle loro camere, perché le mani che li sollevano dai letti erano per le strade della città, a spingere cartelli, a chiedere di esistere.

Vittorio Zucconi

Vittorio Zucconi (1944-2019), giornalista e scrittore, è stato condirettore di repubblica.it e direttore di Radio Capital, dove ha condotto TG Zero. Dopo aver cominciato nel 1963 come cronista precario a …