Umberto Galimberti: L’uomo, un animale troppo libero e molto precario

19 Maggio 2006
‟L’uomo è un animale non ancora stabilizzato”. Così scrive Nietzsche in Umano troppo umano. E la ragione è molto semplice. L’uomo è privo di istinti che sono risposte ‟rigide” agli stimoli, per cui, giusto per fare un esempio, l’erbivoro, che reagisce di fronte a un covone di fieno, non reagisce di fronte a un pezzo di carne. Anche il famosissimo ‟istinto sessuale”, come ci ricorda Freud, è così poco ‟istintivo” che di fronte a una sollecitazione sessuale, l’uomo, a differenza dell’animale, può concedersi a tutte le perversioni, e al limite consegnarsi a una meta non sessuale, come può essere una composizione poetica, musicale o un’opera d’arte. A partire da queste considerazioni Freud, nei suoi scritti, abbandonerà presto la parola ‟istinto (Istinkt)” per sostituirla con la più generica ‟pulsione (Trieb)”. Privo della rigida stabilità garantita dalla codificazione istintuale, l’uomo è libero. La libertà, infatti, non scende dal cielo e tantomeno è una prerogativa dell’anima o della volontà o del discernimento. Essa scaturisce da quella mancanza di codici istintuali che vincolano gli animali dalla loro nascita alla loro morte e lasciano libero l’uomo nella costruzione e nella conduzione della propria vita, che nessun codice biologico governa. Ma l’instabilità che così ne nasce è inquietante, perché non concede la prevedibilità dei comportamenti, la consequenzialità delle azioni, e quindi la creazione di un mondo comune e condiviso. Per questo gli uomini, per difendersi dall’instabilità dovuta alla mancanza di codici istintuali, si sono dati codici logici e codici morali. Logici sono quei codici regolati dal principio di non contraddizione, che sottrae ogni cosa all’ambivalenza di significato di cui è carica, per de-terminarla in una significazione univoca e da chiunque condivisa, e dal principio di causalità, per cui gli eventi non appaiono più come accadimenti imprevedibili e perciò angoscianti, ma come effetti previsti una volta che se ne conosce la causa. La logica, ideata in ambito filosofico e applicata in ambito scientifico, è stata la prima forma di stabilizzazione del pensiero e del linguaggio che ha consentito agli uomini di intendersi e di comunicare tra loro. Ma oltre al pensiero e al linguaggio andava stabilizzato anche il comportamento. E la cosa avvenne prima con i tabù che segnalavano le azioni proibite, poi con i precetti e i comandamenti di cui si nutrono tutte le morali, siano esse ancorate al volere di Dio o convenute tra gli uomini per ridurre gli spazi di conflittualità e garantire la pace, che è la condizione preliminare di ogni progresso e avanzamento di civiltà. La logica da un lato e la morale dall’altro sono state le due grandi macchine di stabilizzazione della vicenda umana che l’instabilità biologica, dovuta alla mancanza di un rigido codice istintuale, non era in grado di garantire, mettendo a rischio l’esperimento umano che, senza regole poteva naufragare miseramente fin dall’alba della sua comparsa. Così hanno pensato Platone, Tommaso d’Aquino, Hobbes, Kant, Herder, Nietzsche e nel secolo scorso Bergson e Gehlen. Ma oggi, noi occidentali viviamo in un’epoca che siamo soliti chiamare: ‟Età della tecnica” dove l’uomo sembra sempre più identificato come funzionario dell’apparato tecnico a cui appartiene o, per dirla con Heidegger, sempre più ‟im-piegato”. L’efficienza e la produttività, nonché l’egemonia della ragione strumentale, che si cura solo del rapporto ottimale tra mezzi e fini (unica forma di pensiero vigente nell’età della tecnica), visualizza le persone alla stregua di qualsiasi mezzo utile a raggiungere gli scopi prefissati, e perciò ne parla come di risorse: ‟Risorse umane”. Siccome in ogni apparato tecnico tutti i settori devono funzionare in perfetto coordinamento in un regime di continuità senza interruzione, non importa se l’apparato è una catena di montaggio, un’organizzazione aziendale, un assetto amministrativo, una rete telematica, a ciascuno verrà assegnato il proprio ‟mansionario”, che è una serie di azioni descritte e prescritte da eseguire, dove gli unici valori riconosciuti sono la funzionalità e l’efficienza, per garantire i quali, è prevista la sostituibilità della persona, come si sostituisce l’ingranaggio di una macchina perché, come ci ricorda Gunther Anders ne L’uomo è antiquato è ormai la macchina il modello a cui deve adeguarsi l’uomo. Per garantirsi funzionalità ed efficienza qualsiasi apparato tecnico mal sopporta quegli ‟inconvenienti umani” che sono la stanchezza, la depressione, gli amori con il loro corredo di esaltazione e disperazione, la malattia, la maternità, e in generale tutti quegli aspetti del mondo della vita che confliggono con la regolarità, l’impersonalità e l’efficienza di un perfetto funzionamento, a cui è stata assegnata quella deprecabile denominazione che è ‟professionalità”, sotto la quale ciò che si nasconde è la radicale riduzione dell’uomo alla sua ‟funzione”, di cui il biglietto da visita, che indica il nostro apparato di appartenenza, ci identifica meglio del nostro nome. La stabilizzazione realizzata dall’età della tecnica fa impallidire tutte le morali e i loro strenui tentativi di dare una stabilità ai comportamenti umani. E questa è la ragione per cui, almeno in Occidente, i comportamenti morali vengono disattesi, perché una regola più ferrea della regola morale è subentrata a stabilizzare le umane condotte. Ad annullare le differenze residue, in cui gli uomini possono reperire un briciolo della loro individualità, provvede la tecnica della comunicazione che, con la radio, la televisione, Internet, produce quel mondo omogeneo e quei comportamenti all’insegna del conformismo per cui, come già avvertiva Nietzsche: ‟Quando tutti pensano allo stesso modo e agiscono allo stesso modo, chi pensa diversamente va spontaneamente in manicomio”. Oggi ‟instabilità” è una parola che fa paura, ma visti i massicci e inavvertiti processi di stabilizzazione in atto in Occidente, un po’di instabilità è forse auspicabile, se non altro per salvare qualcosa dell’uomo come l’abbiamo conosciuto, posto che in Occidente sia ancora vera la persuasione di Nietzsche: ‟L’uomo è un animale non ancora stabilizzato”.

Umberto Galimberti

Umberto Galimberti, nato a Monza nel 1942, è stato dal 1976 professore incaricato di Antropologia Culturale e dal 1983 professore associato di Filosofia della Storia. Dal 1999 è professore ordinario …