Michele Serra: Ascoltando l'aurora che parla sottovoce

30 Giugno 2006
Per la maggior parte dei contemporanei, la cui vita non è più legata al ritmo dei campi, l’alba è un’acquisizione piuttosto tardiva. Tra i (pochi) regali della maturità c’è l’accorciarsi del sonno. Si dorme peggio e di meno, e chissà se sono "i pensieri"che pretendono di più, come dicevano i nostri vecchi, o più banalmente il corpo che pretende di meno. Così ci si sveglia presto. E si beve il caffè guardando la notte scemare, e il giorno che nasce. Se si è fortunati, dalla finestra si vedono schiarire alberi o montagne, o rivelarsi pian piano la superficie del mare, che all’alba è quasi sempre quieto, e piatto come una pianura. Se si è meno fortunati si vedono le facciate delle case che prendono colore - se ne hanno uno - e la città che ricomincia a muoversi. Ma non sempre quella urbana è un’alba meno intensa. Ne ricordo una a Manhattan, rintronato dal fuso orario, con le cime dei grattacieli che si accendevano di sole mentre il fondo delle strade era ancora pienamente notturno. Molto simile alle albe in alta montagna, quando le vette arrossano per i primi raggi mentre in cielo ci sono ancora luna e stelle: e se il sole sorge in opposizione allo sky-line, e non alle sue spalle, il contrasto tra l’orlo illuminato del mondo e il sipario nero che gli sta dietro è uno degli spettacoli più belli del pianeta. (segue all’interno)
Questa alba, quella di cui stiamo parlando, è la vera alba. È quella del risveglio simultaneo del mondo e di noi altri, che cerchiamo con tanta fatica di assecondarlo. La freschezza del giorno neonato è in sintonia con la nostra. E ci contagia. E ci ripulisce. Molto diversa è l’alba attesa al termine della notte, svegli, febbrili, che in genere è l’alba dei giovani, dopo la discoteca o il pub o amori notturni. Quella è un’alba distonica, ci si arriva stazzonati, con lo sguardo pesante e le caviglie gonfie. È un’alba conclusiva, e dunque perde il suo umore segreto e miracoloso, che è quello dell’inizio, del rinnovamento. L’ha descritta con malinconico humour Nanni Moretti in Ecce Bombo, quando il tenero branco di adolescenti passa la notte sulla spiaggia in attesa del sole sorgente, ma rivolti dalla parte sbagliata. L’alba li prende alle spalle, come del resto la vita. Tra queste due albe, quella di chi si è appena alzato dal letto e quella di chi va a dormire, c’ènaturalmente dibattito. E se sono sicuro del fatto mio (cioè: sono sicuro che partecipare all’alba al risveglio sia molto meglio che prenderla di petto dopo una notte insonne), cerco però di mantenermi attento anche alle albe altrui. Che comunque, per qualche loro qualità invincibile, devono produrre anche nei nottambuli il fascino benefico della ri-creazione, della meraviglia di una giornata nuova (mai venuta prima) e ancora intatta. Una delle più belle canzoni di Jovanotti, e non per caso quella che lo ha trasformato da adolescente spensierato in artista eccellente, descrive proprio i pensieri di un’alba vissuta rientrando dalla discoteca: «Mi chiamo Jovanotti e faccio il dee-jay - Non vado mai a dormire prima delle sei». L’alba, in quella canzone, ha la potenza di una rivelazione. È un’alba che parla piano e parla a tutti. Ecco, l’alba parla piano, l’alba è gentile. Non impone, al massimo suggerisce. I colori e i rumori non sono ancora bruschi. Lo specchio del bagno, la tazza del caffè, la casa silenziosa, il prato umido e fresco, la strada semivuota il rombo imminente del traffico che è appena un respiro remoto, sono tracce di una possibilità davvero imprevista, quella di rinascere. Poi il ritmo del giorno si fa più adrenalinico e anche più greve. Ma se si è colto quell’istante, si è respirato quel silenzio, ci si è fatti del bene. La mia alba ideale: in una casa di montagna, d’estate, con un maglione addosso ma scalzi, bevendo caffè sul prato, cercando di individuare gli uccellini tra i rami. Rimandando ogni decisione a mezz’ora più tardi, quando il sole è già tiepido, il tempo si rimette in moto e la vita ricomincia a consumarti. Date retta, svegliatevi presto. Per dormire c’è sempre tempo. È il tempo per vivere che è contato, cerchiamo almeno di contarlo in sintonia con la vecchia Terra.

Michele Serra

Michele Serra Errante è nato a Roma nel 1954 ed è cresciuto a Milano. Ha cominciato a scrivere a vent’anni e non ha mai fatto altro per guadagnarsi da vivere. …

La cattura

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