Vittorio Zucconi: Ma il bel gioco non esiste qui conta solo vincere

30 Giugno 2006
Eccoci qua, noi infami immeritevoli, nel G8 del calcio mondiale, tra le Otto Grandi del football senza gioco, senza valore, senza bellezza, senza sportività, come oggi tutti i commentatori sportivi della Galassia ci ricordano, in attesa di un ultimatum del Consiglio di Sicurezza dell’Onu. Siamo i discoli della classe, quelli con le dita nel naso e le patacche di unto sul grembiulino, i Franti che sogghignano. Ci meritiamo gli insulti? Assolutamente sì. Siamo i peggiori della classe? Assolutamente no. E se il consiglio di facoltà del calcio ha davvero guardato questo Mondiale 2006, vorremmo sapere chi sono i bambini buoni, i sacerdoti del "bel calcio". Chi ha visto gioco bello, deve avere guardato film di altre edizioni, perché in questo, se ne è visto ben poco. Abbiamo ammirato magnifiche azioni di singoli giocatori, il fantastico gol dell’argentino Rodriguez, quello stupendo di Ronaldo che sarà pure grassoccio ma al confronti di molti giocatori italiani spompati è uno spot per la fitness, e belle combinazioni collettive dei tedeschi, sospinti da una passione commovente del pubblico. Ma in cambio, neppure i nostri Franti sono scaduti in quella rissa a pedate in faccia che portoghesi e olandesi ci hanno proposto, compresa la zuccata da vecchia carognetta di Figo, inspiegabilmente perdonata. E se il rigore fischiati da Medina contro gli australiani è stato assai generoso, la mancata espulsione dell’argentino Heinze che ha segato in due l’attaccante del Messico lanciato ormai da solo verso la porta sull’uno a uno, dovrebbe avere indignato tutti i sacerdoti del gioco. Detestare gli azzurri nel mondo del calcio internazionale è uno sport praticato da anni, e spesso meritatamente, perché siamo una squadra di carognette, una banda di stilettatori, senza la mistica delle Furie, la supponenza della Grand Nation, la prosopopea ormai antiquata degli inglesi affidati a uno svedese, come è d’obbligo il suo opposto, cantare le laudi dei brasiliani. Quando un opinionista di calcio, esausto dopo 20 giorni di pallonate non sa più che cosa scrivere, esalta il bel gioco brasiliano e scortica il "catenaccio" italiano. In materia di pallone, noi siamo l’equivalente dell’ugly american, dell’esecrato yankee. Moggi è stato il Vietnam del nostro calcio, l’orrore reale che poi giustifica qualsiasi sospetto e qualsiasi accusa. Poiché i nostri successi sono inspiegabili quanto i nostri disastri, poiché nessuno sa spiegare razionalmente come la nazionale di Sacchi, che giocò una buona mezz’ora contro la Bulgaria di Stojchkov e poi ben poco, potè arrivare ai rigori in una finale contro il Brasile o come Trapattoni potè farsi buttare fuori dalle riserve del Perugia, ci deve essere una spiegazione oscura, un Codice Da Vinci che viene conservato nelle segrete di qualche antico palazzo romano e poi usato per portarci a successi immeritati come a disastri inimmaginabili. Il calcio sarebbe una cosa meravigliosa se non ci fossero Les Italiens, Los Italianos, the Italians. Poi lo guardi e vedi che non è affatto così, noi siamo soltanto la versione più orrendamente onesta di quello che gli altri fingono di non volere, vincere a qualsiasi costo. ‟Se volete lo spettacolo, andate a teatro” rispondeva il più venerato dei coach americani di football, il leggendario Vince Lombardi. ‟Il mio compito è vincere partite di pallone”. Nel mondo del calcio 2006, il gioco scarseggia perchè tutti sanno ormai come giocano tutti gli altri, ogni allenatore è un machiavelli da spogliatoio, ansioso di paralizzare il nemico con veleni tattici. Svizzeri e ucraini hanno fatto orrore per 120 minuti. Francesi e Spagnoli hanno giocato a pallette a centro campo, fino al generoso intervento del nostro Rosetti che ha sbloccato lo zero a zero e sciolto i nervi con un rigore alla Spagna che vale esattamente come quello che lo spagnolo Medina ha dato a noi (ora siamo pari, caballeros, zitti e buoni). L’Argentina ha fatto sei gol contro quei poveracci che rappresentavano un nazione, la Serbia Montenegro, che non esiste più e poi ha arrancato contro il Messico. Se la Francia ha Zidane, che anche a 50 anni resterà un genio del pallone, e noi no, non è colpa nostra.. Semmai è merito dell’Eurabia. Odiarci è facile e nessuno sa odiarci come ci odiamo noi stessi. Ma qui sono venuti tutti per vincere, al calcio o a calcioni. Cito ancora Vincent Lombardi quando diceva: ‟Winning isn’t everything, is the only thing”. Vincere non è tutto, nella vita, è la sola cosa che conti. Aveva, infatti, sangue italiano.

Vittorio Zucconi

Vittorio Zucconi (1944-2019), giornalista e scrittore, è stato condirettore di repubblica.it e direttore di Radio Capital, dove ha condotto TG Zero. Dopo aver cominciato nel 1963 come cronista precario a …

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