Vittorio Zucconi: Italia in semifinale. Una squadra col pugnale

03 Luglio 2006
E adesso è proprio nostra fino alla fine, per gli ultimi 180 minuti, nel bene e nel male, in ricchezza e povertà, in fortuna e in malasorte, questa Nazionale che sembrava aliena e che sopravvive nella bolla di irrealtà deliziosa di un Mondiale gonfiata dal "dream match", dalla partita di sogno: Italia- Germania. Ed è dunque italiana in ogni vizio e ogni virtù, nel suo sapere essere inguardabile un minuto e stupenda per un altro.
Insopportabile e tenera come una bambina, sprezzante e commossa, quando ‟dedica la vittoria a Pessotto”, come dice subito Lippi e ora si capisce che ci pensavano, eccome ci pensavano, quando erano in campo, tra i cartelli di tifosi "Forza Pessotto". Ci pensavano tanto che Cannavaro se n´era fatto preparare uno apposta da sventolare alla fine, "Pessottino siamo con te".
Dramma vero e melodramma, lirica e sirene di ambulanze, corruzione ed esaltazione suonano assieme nella cacofonia del calcio italiano che esprime la nostra natura meglio di ogni altra metafora e che abbiamo visto produrre forse la più bella azione da gol di questo mondiale, Pirlo-Totti-Zambrotta, una stilettata al cuore, dopo averci regalato il calcio più sgangherato e brutto con americani, cechi e australiani. Il nostro calcio professionistico resta sotto processo e ci deve restare. Ma la nostra Nazionale da ieri non è più con la condizionale. È libera di giocarsi le prossime due partite senza manette e senza catene ai piedi. Se lo farà bene o male, lo vedremo, ricordando che anche questa volta è stata capace di tutto e del contrario. Ha dato più occasioni da gol all´Ucraina di quante ne avesse concesse l´Arabia Saudita e poi vince tre a zero e ora ci porta per la mano alla luna di miele che ogni tifoso, e ogni televisione, sognava, un Italia-Germania, per la finale. Cose che chi leggerà gli albi di figurine tra vent´anni e vedrà Amburgo, 30 luglio, tre a zero, penserà che sia stato uno scherzo. Ma noi ricorderemo l´espressione attonita del povero Blokhin, il ct ucraino, quando si ritrova con la pugnalata di Toni, e finito, dopo avere costretto Buffon a spiaccicarsi contro un palo per salvare una difesa di storditi e a scommettere finalmente soltanto sulla propria bravura.
Adesso non venite a dirci che l´Ucraina è una squadra di oneste schiappe rafforzata da Shevchenko e che noi giochiamo con il ben collaudato schema definito nelle scuole di calcio come ‟il culo di Lippi”. Se siamo arrivati al "dream match", all´incontro che può rovinare una generazione come noi fummo rovinati per la vita dal 4-3, è semplicemente perché abbiamo giocato come noi siamo, come pugnalatori, non come moschettieri. Non siamo leoni, siamo vipere, e giustamente ora i tedeschi hanno paura di schiacciarci la coda. Gattuso, ieri sera magnifico, aveva la faccia di uno che il direttore dello Spiegel non vorrebbe incontrare, dopo quelle cretinate degli italiani "parassiti". Sentire un calabrese dire che ‟quel giornale ha offeso mio padre”, non dovrebbe lasciare tranquillo Klinsmann. Sappiamo fin d´ora che la semifinale di martedì sarà un calvario, con o senza profana resurrezione ai supplementari, perché anche ieri sera siamo riusciti a soffrire per 15 minuti, quasi che gli azzurri, di nuovo e felicemente, abbigliati con la doverosa mutanda bianca avessero voluto tornare in sé, ricordarci quello che sono. Qualsiasi squadra di sbruffoni è capace di vincere tre, quattro, magari sei a zero come gli argentini, implacabilmente castigati dal contrappasso delle "goleada". Ma i nostri tre a zero, quando vengono, devono essere costruiti con stranguglioni e pasticci, perché noi sappiamo che non si devono mai sfottere gli dei del pallone maramaldeggiando e stroncando le partite. Contro di noi tutti, le Coree e l´Ucraina, il Camerun e l´Azerbaigian devono avere la loro occasione per pareggiare, il loro momento di gloria e di speranza, perché essere prepotenti nella buona sorte ti si rivolta contro quando le cose vanno storte e anche Buffon, il portiere, deve giocare anche lui, sennò si annoia.
Diceva sempre Lippi, che ieri sera sembrava umano almeno fino alla cintola, perché dalla vita in giù è colossale, che ‟questo deve essere visto come un inizio”. Non lo ha spostato persino la investitura di Guido Rossi, il commissario straordinario della Figc, quando ha detto che Lippi andrebbe riconfermato ‟a furor di popolo”, e fa bene, perché i furori del nostro popolo sono da temere, nel bene come nel male. Ma ora ci mettiamo in viaggio per Dortmund, per la semifinale di martedì, da italiani, senza vergognarci di essere quello che siamo, perché questo siamo, non americani, non tedeschi, non brasiliani, non francesi. Andiamo in viaggio di nozze con poche cose in valigia. Un pernacchio per chi ci ha sfottuto come cavernicoli e uno stiletto, per il duello finale. Speriamo che giochino in mutande bianche.

Vittorio Zucconi

Vittorio Zucconi (1944-2019), giornalista e scrittore, è stato condirettore di repubblica.it e direttore di Radio Capital, dove ha condotto TG Zero. Dopo aver cominciato nel 1963 come cronista precario a …