Vittorio Zucconi: Italia-Germania. Preghiera da tifoso, niente rigori

04 Luglio 2006
La partita che ringiovanirà i vecchi e invecchierà i giovani di 36 anni in due ore è arrivata. Italia-Germania in una semifinale è il ponte che congiunge la generazione in bianco e nero con la generazione a cristalli liquidi.
Un ponte che sarà costruito o demolito alle 21 da un gruppo di giovanotti nessuno dei quali era neppure nato quando i loro genitori diventarono matti e sfoderarono il triangolo dal portabagagli per piegarne le aste a formare il quattro. Li guardo sgambettare sul prato dello stadio del Borussia, che è la squadra della non bellissima città di Dortmund, e sono davvero i nostri figli quelli che sgambettano sull’erba, i bambini viziati da noi senza altra responsabilità al mondo che quella di giocare alla palla e di non farci morire questa sera.
Lippi, che la notte del 17 giugno 1970 aveva 24 anni, se la ricorda invece benissimo e sa quale ‟tremenda aspettativa”, dice, circondi questa semifinale, che neppure la discarica tossica delle intercettazioni ha potuto uccidere. Si capisce, ascoltandolo in quell’ultimo incontro con i giornalisti che le vittorie hanno reso tutto zucchero e cannella, che il solo preoccupato è lui, non tanto degli avversari in maglia bianca, ma dei suoi in maglia azzurra (e, buone notizie, in mutanda bianca come i loro padri in Messico) passati dalle espressioni tese e ingrugnate delle qualificazioni all’aria distesa, fin troppo sicura, con la quale ieri sera giocherellavano sul campo con l’aria di chi deve tirare l’ora di cena. Se l’aria di fiducia, di ‟condizione e convinzione” come intonava Lippi usando allitterazioni da Pastore del Sud alla Jesse Jackson, sia buon segno o invece sintomo di quella sindrome da ‟tanto noi i tedeschi li trombiamo sempre” che fa venire i brividi, vecchi e giovani lo vedranno insieme questa sera.
Da qui, dal più scomodo fra gli stadi tedeschi del Weltmeisterschaft 2006, dove i nostri fratelli nell’Euro hanno perfezionato una nuova tecnologia che consiste nel costringere tutti a scendere sempre quattro piani di scale per risalirne poi altri quattro ovunque si vada, posso soltanto registrare la sorprendente disponibilità del grande Buffon, in quell’osceno recinto da mucche in fiera detto ‟zona mista” dove si possono incontrare i giocatori. Devo segnalare la sorridente cortesia con la quale Gattuso, che aveva mandato a quel paese un gruppo di telecronisti australiani che gli avevano chiesto una parola, si scusa ora garbatamente con un nugolo di giapponesi che imploravano qualche reazione dei nostri all’annuncio del ritiro di Nakata, perché lui, la sera prima delle partite, non parla mai. ‟Hai il più bel sorriso del mondiale” grida in estati a Perrotta uno accreditato come giornalista, che appunto, gli sorride, come la Wandissima a chi le lanciava rose. Come ci vogliamo bene, adesso. Fino alle 23.
Invano Lippi tenta di ricostruire quel prezioso clima da Fort Apache assediato che tanto bene ha saputo sfruttare, quando rimette i panni a lui congegnali dell’antipatico e risponde ‟ai molti, ai tanti che avrebbero voluto che me ne andassi” che ‟lui non avrebbe mai abbandonato questo gruppo” come se fosse dipeso da lui. Ascolto con orrore ricircolare i soliti discorsi sui tedeschi ‟scarsi”, sulla loro ‟difesa legnosa”, sull’assenza di questo Frings squalificato grazie alla moviola di una rete tv italiana, una carognatina che i tedeschi ci rimproverano e che questa sera ci varrà slavine di fischi a ogni italiano a terra, come se questo Frings fosse il Maradona della Westfalia. La nostra volubilità d’umori, che ci aveva portato a ingigantire i ghanesi, facilmente sconfitti, e poi a nanizzare gli Australiani, superati per una miracolosa botta di gluteo, ora spruzza aria di ‟tutti a Berlino”, domenica.
‟Tutto lavora a favore dell’Italia” fa sapere quel Matt Demon dei poveri, proprio Ballack, che fa il furbetto come il peggior italiano, per creare nei suoi e nei 50 mila tedeschi allo stadio il solito complesso teutone del ‟grand gross e ciula” del nobile cavaliere un po’ pistola disarcionato con malizia dall’astuto Arlecchino. Può darsi che i tedeschi di Klinsi non siano la Germania di Fritz Walter, ma hanno una virtù che noi non abbiamo: quella di non credere di essere scarsi fino a quando qualcuno non glielo dimostra sul campo e voglio proprio vederlo, questa sera, l’arbitro messicano che ‟lavora a nostro favore”. Una sola cortesia, a nome di noi ‟ragazzi del 1970” e dei medici di guardia negli ospedali: potreste evitare di finire ai rigori, per favore?

Vittorio Zucconi

Vittorio Zucconi (1944-2019), giornalista e scrittore, è stato condirettore di repubblica.it e direttore di Radio Capital, dove ha condotto TG Zero. Dopo aver cominciato nel 1963 come cronista precario a …