Umberto Galimberti: Le passioni del corpo e quelle del sentimento

04 Settembre 2006
La frequenza quasi quotidiana degli stupri, denunciati e non nella nostra città, ci obbliga a riflettere su quanto la nostra matrice animale ancora governa le nostre condotte. Lo stupro infatti aduna in sé le due pulsioni con cui ogni specie perpetua se stessa: la sessualità (per la riproduzione) e l’aggressività (per la difesa della prole). I greci, che avevano divinizzato la natura senza misconoscere la sua crudeltà innocente (perché la natura perpetua se stessa attraverso la morte dei singoli individui), avevano assegnato anche allo stupro una divinità, Pan, che inseguendo le ninfee nel bosco, diffondeva il ‟pan-ico”. Sessualità e aggressività non appartengono all’individuo come il pensiero, l’immaginazione, la parola, il gesto, il linguaggio, ma l’individuo ‟patisce” la loro presenza, e perciò chiama aggressività e sessualità ‟passioni”. Quando ne è travolto, di quell’individuo si dice che ‟non era più lui”. La civiltà si è affermata ed è progredita attraverso il controllo di queste dimensioni pulsionali. In un certo senso separandosi dalla sua condizione di natura (che è poi la condizione animale) e coltivando quelle regole non aggressive di convivenza che siamo soliti chiamare ‟cultura” o, se preferiamo, ‟civiltà”. Cultura e civiltà non sono il contrario della natura, ma filtrano le pulsioni naturali e danno loro espressione a partire dal riconoscimento dell’individuo. Questo riconoscimento è espresso da quell’atteggiamento che si chiama ‟pudore”, che non è una faccenda di vesti, sottovesti o intimo abbigliamento, ma è ciò che distingue la sessualità che cerca il piacere (con cui la specie adesca l’individuo per garantire la propria continuità) dalla sessualità che cerca l’individuo nella sua unicità inconfondibile. è una differenza che conoscono anche le prostitute, che per questo non baciano i clienti. Pur nell’offerta incondizionata del loro corpo, esse sanno di non essere cercate e volute per la loro individualità. Nel loro rifiuto è il pudore a ergersi come criterio estremamente preciso per misurare la dinamica dei due tipi di sessualità: la sessualità promossa dalle esigenze della specie che non riconosce l’individuo, e la sessualità promossa dall’individuo che vuole l’altro individuo e nessun altro. Se così stanno le cose, allora possiamo dire che il pudore è quel sentimento che difende l’individuo dall’angoscia di naufragare nella genericità animale a cui lo stupro inesorabilmente condanna. Prima di una violazione sessuale, lo stupro è allora un misconoscimento dell’individualità, è la riduzione della persona a cosa. è il ritorno dell’umano a quella condizione animale dove l’individuo non emerge dal genere, e dove l’umanità, con un gesto, cancella il suo lungo e faticoso percorso che l’ha portata alla cultura e alla civiltà. Ciò è particolarmente evidente in ogni guerra, dove la morte che si infligge al nemico non è mai disgiunta dallo stupro inflitto alle donne come misconoscimento della loro dignità. Sarebbe opportuno che queste considerazioni incominciassero a circolare nei tribunali, dove ci si limita a punire la violenza sessuale e non la cancellazione dell’individuo che ogni stupro sancisce, e soprattutto nelle scuole dove, anche nell’insegnamento dell’educazione sessuale, là dove esiste, ci si limita a illustrare le tecniche che mettono al riparo dalla gravidanza, quando invece sarebbe molto più opportuno educare, oltre alle tecniche, a non compiere un gesto che vada al di là del proprio sentimento. Naturalmente per questo bisogna conoscere i propri sentimenti e non confonderli con le passioni che agitano il corpo. Ma finché nelle nostre scuole non c’è un’educazione dei sentimenti, come possiamo attenderci un passo avanti che ci distanzi dalla nostra condizione animale?

Umberto Galimberti

Umberto Galimberti, nato a Monza nel 1942, è stato dal 1976 professore incaricato di Antropologia Culturale e dal 1983 professore associato di Filosofia della Storia. Dal 1999 è professore ordinario …