Vittorio Zucconi: Poche ferie, troppo lavoro. Gli americani non rendono più

05 Settembre 2006
Nella festa ghigliottina che ogni anno tronca l'estate americana, quella festa crudelmente chiamata "Labour Day", il giorno del lavoro, 300 milioni di persone hanno dato ieri un addio corale a quello che non hanno fatto: le ferie. Accade ogni fine estate, nel primo lunedì di settembre, con una pioggia di statistiche e di lamentazioni e di inutili consigli che riscoprono l'acqua calda di una verità faticosa: gli americani sono, tra le nazioni del cosiddetto Occidente, i lavoratori che fanno meno vacanze.
Un popolo di workaholic, di tossici dal lavoro, che si accontentano in media di sette giorni di feria annuale, la metà rispetto a francesi, inglesi, italiani, tedeschi e persino cinesi.
Come nel Giappone degli anni 80, quando le grandi aziende dovettero rassegnarsi a chiudere gli stabilimenti per costringere i dipendenti a non presentarsi in fabbrica o in un ufficio, così l'America della "corsa dei topi" 2006 comincia a studiare metodi draconiani per imporre alla gente di riposarsi. Non in omaggio ai "diritti dei lavoratori", non esistendo quasi nessuno che li difenda oltre gli anemici sindacati, ma in ossequio alla produttività e alla qualità del lavoro che i workaholic mettono a rischio con la loro incapacità di riposarsi. Il numero di ore lavorate settimanali ha raggiunto il record post bellico di 50, sbriciolando il mito del week end, dei due giorni liberi ogni settimana.
Proprio il week-end, il sogno del tempo libero american style, consumato nella ricostituente pigrizia dello shopping, del pic nic, della partita in tv con birra, patatine e hot dog, - la specie minacciata dalla nuova era della produttività estesa dalla tecnologia oltre il solito orario d'ufficio. Se un metalmeccanico difficilmente può portarsi il lavoro a casa, per tutte le professioni dei servizi che ormai sono i due terzi dell'occupazione in America, orologi e calendari non hanno più senso, distrutti da quel "telelavoro" che in teoria avrebbe dovuto liberare e in realtà ha soltanto allungato all'infinito il guinzaglio del lavoro. Telefonini, internet, telecommuting, fax, ricerche on line e soprattutto quello strumento satanico chiamato blackberry, il telefonino che funge in pratica da computer tascabile e obbliga tutti i possessori a essere sempre in contatto con tutti, hanno espanso i cubicoli di plastica che ora passano per uffici, inghiottendo la casa, le ore del fuori servizio, il tempo non più libero.
La produttività, ovviamente, cresce. Il 14% in più nel 2005, un balzo formidabile, e di conseguenza diminuisce il costo del lavoro e con esso i salari reali, diminuiti in media del 2 per cento nello stesso anno, nonostante la crescita del prodotto interno lordo, come aumenta la povertà, il grande pungolo alla agitazione dei topi. Ma se questi sono dati che farebbero piangere di gioia ogni consiglio d'amministrazione, le lacrime si asciugano davanti al rischio dei diminishing return, il paradosso del "chi più lavora peggio produce". In un'economia sempre meno manufatturiera, dove il prodotto non si misura più in bulloni e reparti verniciatura, l'eccesso di lavoro e la mancanza di riposo deteriorano il risultato finale di tanta fatica.
Il medico di famiglia (specie in via di estinzione) vede in media 40 pazienti al giorno e non potrà fare lo stesso, buon lavoro diagnostico su tutti loro. Li scaricherà, al primo raffreddore o mal di testa, sullo specialista, così aumentando spesso inutilmente quei costi clinici che si vorrebbero contenere.
L'avvocato che alle 4 del mattino, dopo una raffica di messaggi arrivati via blackberry scriverà un brief un'opinione legale importante per un cliente, sarà certamente più esposto a commettere errori di quanto non sarebbe alle 11 del mattino, dopo una notte di buon sonno. Ma la sua carriera sarà misurata nel numero di ore caricate al cliente. Il percorso del topo è implacabile.
Si accumulano le giornate di vacanza non godute. In cifre e soldoni, queste ferie mancate ammontano a 547 milioni di giorni e a 75 miliardi di dollari in equivalente retribuzioni. Il problema, dunque, non è concedere più giorni di vacanza, che ci sarebbero, ma di convincere la gente a farle, a staccare, a gettare il telefonino e il blackberry palmare, a valutare la qualità, oltre la quantità del lavoro. La Price Waterhouse, una delle grande società di contabilità e revisione finanziaria, ha deciso di chiudere per una settimana a fine anno e proibire comunicazioni di servizio in quei giorni. Una decisione che ha scatenato un'alluvione di e-mail e di lettere di ringraziamento all'amministratore delegato dell'azienda.
Un grande hotel di Chicago offre ai propri ospiti di sequestrare telefonini, palmari e portatili fino alla fine del soggiorno, per il "non c'indurre in tentazione". Più severa, la American Management Association, proprio la lobby dei manager, toglie punti alla valutazione degli impiegati che non si prendono l'intero pacchetto di ferie, considerandolo un demerito.
Altre creano "conti vacanze" non godute, dai quali si possono prelevare giorni da sfruttare anche per malattie o maternità. Nell'Oregon, alcune società hanno lanciato una pratica che scandalizza i profeti puritani e calvinisti del "lavorare duro, lavorare sempre". Hanno aumentato a 18, da 14 che erano, i giorni di ferie, aggiungendo un "ponte", un giorno in più dopo le grandi feste, dalle quali notoriamente tutti rientrano suonati. La produttività dei dipendenti è aumentata del 30%.
Persino i cinesi, con tre settimane all'anno, e i giapponesi hanno sulla carta più ferie degli Americani che in media ne hanno una. L'incubo di apparire uno slacker, un lavativo, destinato al licenziamento frusta e pungola. E vagare per un aereoporto compulsando il blackberry per messaggi urgenti dalla sede è ormai un simbolo della propria laboriosità e del proprio essere indispensabili. Anche se l'importante personaggio sta cercando di sapere i risultati della partita. "Siamo il paese più sottosviluppato del mondo, in materia di vacanze" osserva l'economista Paul Samuelson. Come mi disse anni addietro il grande giornalista del New York Times John Apple, dopo avere saputo che ogni giornalista italiano ha un mese di ferie all'anno: "Se rinasco, voglio fare il giornalista italiano".

Vittorio Zucconi

Vittorio Zucconi (1944-2019), giornalista e scrittore, è stato condirettore di repubblica.it e direttore di Radio Capital, dove ha condotto TG Zero. Dopo aver cominciato nel 1963 come cronista precario a …