Gian Antonio Stella: Mille verso Pechino. I brutti ricordi

12 Settembre 2006
Il grattugiatore di parmigiano, per favore, no: stavolta ci sia risparmiato. L’appello alla comitiva tricolore in partenza per Pechino, comitiva che con un migliaio di partecipanti ha qualcosa delle carovane che solcavano l’Asia ai tempi di Giovanni di Montecorvino, non è strampalato: nei viaggi delle delegazioni italiane all’estero, tra tavolate trimalcioniche, abbiamo visto anche questo. All’estero con il container e l’orchestrina. Certo, le premesse sembrano serie. Alla ‟conquista della Cina” parteciperanno con i rappresentanti del governo, dell’Abi, della Confindustria e dell’Ice, circa 700 imprese più 26 associazioni imprenditoriali, 12 regioni e 20 istituti bancari che mobiliteranno 350 interpreti per almeno 2.000 incontri di lavoro. Evviva. Tanto più dopo la perdita di quote di mercato e i tagli degli ultimi anni. Basti ricordare come per tutta l’Asia e l’Oceania, dalla Cina all’India, dall’Australia al Giappone, fu deciso di investire nel 2005 (e vai col ‟made in Italy!”) 70.000 euro. O che il consolato di Los Angeles ricevette da Roma nel 2004, per spingere i nostri prodotti negli States dell’ovest, 141 euro al mese. Un’elemosina. Tentiamo finalmente di fare sistema? Bene, bravi, bis. Ma è meglio dirlo prima: sobrietà. La storia di questi viaggi ci ha regalato infatti leggende indimenticabili. A partire proprio da un altro viaggio in Cina. Quello di Bettino Craxi. Il quale partì nel 1986 tirandosi dietro una tale massa di gente che Giulio Andreotti, che gli faceva da ministro degli Esteri, ridacchiò sull’aereo coi cronisti: ‟Andiamo in Cina con Craxi e i suoi cari”. Il meglio fu il viaggio di ritorno, con due tappe estrose a Macao e Hong Kong, una svelta colazione a Nuova Delhi col primo ministro indiano e un salto a Puttaparthy per fare visita al fratello mistico, Antonio Craxi, che viveva tra i discepoli di Sai Baba. Un giretto reso immortale da un’interrogazione parlamentare del comunista Renato Nicolini, che poneva domande tipo: ‟Se la scelta di soli 65 invitati è dovuta a motivi di capienza del velivolo, il presidente non ritiene opportuno dotarsi di un mezzo più adeguato?”. Oppure: ‟Vuole il presidente dirci quali siano le attrazioni di Macao e di Hong Kong più consigliabili al turista italiano al fine di sprovincializzarne la mentalità?”. Quali fossero allora i vettovagliamenti al seguito gli archivi non lo dicono. Ma certo non c’è politico italiano che si presenti all’estero, da anni, senza qualche container di ‟prodotti tipici”. Siete a una grande fiera internazionale? Seguite le ondate di profumo, individuate i prosciutti e i cacicavalli appesi e fatevi largo tra le plebi che s’ingozzano di assaggini: lì c’è la delegazione tricolore. Un esempio? Francesco Storace, da governatore, si fece in quattro per il progetto ‟Regione Lazio e Regione di Mosca: insieme verso il futuro”. I russi mettevano le astronavi e gli astronauti, spiegava entusiasta un’agenzia, noi il loro menù spaziale: ‟Ricotta secca, caciotta di bufala, marzolina, olive di Gaeta, tozzetti e torroncini, miele, castagne e nocciole, tutti rigorosamente prodotti nel territorio laziale”. Il massimo lo diede la Regione Sicilia che, dovendo preparare un campionato di ciclismo, organizzò una trasferta ad Oslo per vedere come se l’erano cavata i norvegesi. Partirono in 120, compresi i musicisti di un’orchestrina folk, le mogli (fu spettacolare la spiegazione dell’assessore Sebastiano Spoto Puleo: ‟Che dovevamo fare? Poi ci dicevano che siamo i soliti siciliani che lasciano a casa i "fimmini"‟), trenta giornalisti e quattro cuochi. I quali erano stati preceduti da un Tir di derrate con ogni ben di dio: dai pomodorini secchi alla bottarga, dalle melanzane al finocchio selvatico, dallo Zibibbo alla Donna Fugata. Un’altra volta, dovendo preparare un’universiade, decisero di andare a vedere come si erano organizzati i giapponesi a Fukuoka. E misero a punto un viaggio che, se non fosse stato bloccato dalle avvisaglie di un’inchiesta, prevedeva la trasferta nel Paese del Sol Levante di 231 persone: deputati, funzionari, amici... Più il necessario per donare agli amici giapponesi un simpatico spettacolino durante la cerimonia di apertura della manifestazione sportiva: 30 sbandieratori di Siena, 30 trampolieri dell’Emilia Romagna, 30 gondolieri veneziani, 10 cantanti romani e 30 Pulcinella napoletani.... Tutti prenotati all’hotel Hyatt Residence: 500 mila lire a testa al giorno. Caro? Per niente, spiegò l’assessore al turismo Luciano Ordile: ‟Mi dicono che lì ‘u caffè costa diecimila lire!”. Gli chiesero: non bastava, ad esempio, portare solo i costumi da Pulcinella usando poi figuranti giapponesi? Risposta: ‟Non capisco tutte queste polemiche. Non stiamo mica organizzando una sagra di paese!”. Com’erano grasse, le vacche degli anni grassi... Eppure, anche nelle ristrettezze di oggi, il figurone all’estero lo vogliono fare ancora tutti. Ed ecco Roberto Formigoni aprire ‟ambasciate” lombarde a Bruxelles, Shanghai, New York o San Paolo e solcare le autostrade brasiliane con un corteo imperiale aperto da 8 motociclisti che ‟gli aprivano la strada tra le macchine come Mosè il Mar Rosso nei Dieci Comandamenti di DeMille”. E il sindaco di Lecce, l’aennina Adriana Poli Bortone, tenere a New York, in italiano e per spettatori in larga parte arrivati dalla Puglia, una conferenza su ‟L’area del Salento come ponte fra l’Italia, i Balcani e il Mediterraneo”. E il rifondarolo Nichi Vendola (‟Non ne so niente, ho solo confermato ciò che avevano deciso prima di me”) andare al ‟Columbus Day” e spendere tra una cosa e l’altra, col seguito, 345 mila euro per quattro giorni newyorchesi mentre il suo vice dichiarava: ‟Certo la cifra mi incuriosisce, sarà il caso di verificare”. Per non dire dell’ingorgo di cerimonie parallele (stesso giorno, stessa ora, stessa zona di Manhattan, stessi invitati che non sapevano dove andare) del governatore campano Antonio Bassolino al ‟Casa Campania” e di Totò Cuffaro al ‟Casa Sicilia”. O del viaggio dei trentini in Brasile ‟sulle orme di Suor Paolina”, con sosta a Copacabana. O del viaggio di un piccolo manipolo di deputati regionali dell’Ars per trovare una risposta a uno dei misteri che angosciano i siciliani: cos’è l’‟isolitudine”? Per capirlo fino in fondo, andarono in Polinesia. Da dove mandarono una cartolina: ‟Baci. Bora-Bora beddissima è”.

Gian Antonio Stella

Gian Antonio Stella è inviato ed editorialista del “Corriere della Sera”. Tra i suoi libri Schei, L’Orda, Negri, froci, giudei & co. e i romanzi Il Maestro magro, La bambina, …