Michele Serra: Schumacher. Il progettista di vittorie

12 Settembre 2006
Diventare un eroe dello sport per puro talento tecnico, senza pagare neppure un centesimo di tassa a quell’esoso erario che è la popolarità. Un carisma concentrato esclusivamente nell’abitacolo della sua monoposto, speso tutto intero mani al volante e sguardo alla pista. A motori spenti, Schumacher azzera anche quell’impercettibile contagiri che è il fascino del campione. «Impiegato» (oppure, al meglio, «serio professionista») è stato il termine più usato per descrivere la rimarchevole assenza di appeal del pilota più forte di tutti i tempi. Il fascino di Michael Schumacher sta proprio nel suo anacronismo cristallino: nell’evo della pubblicità, delle pierre, della compromettente religione della Fama, non ha mai concesso niente al suo pubblico che non fosse, come da contratto, seppellirlo di vittorie: sette titoli mondiali, novanta Gran Premi. Perfino il rituale saltello recitato sul podio, unica concessione allo show, stride con l’assoluto basso profilo di questo tedesco blindato, inappetibile dai rotocalchi, mortalmente noioso nelle (poche) interviste, dotato di un buon inglese per dovere professionale (appunto) e di un pessimo italiano per assoluta mancanza di ruffianeria. Uno sportivo pre-televisivo, che ha sempre opposto alle telecamere la sua maschera spontanea da contabile della vittoria. Questa natura anti-demagogica del campione, tacciabile di avarizia emotiva dagli antipatizzanti, è stata però uno degli ingredienti decisivi nella potente risalita di immagine della Ferrari e con lei della Fiat e dell’industria automobilistica italiana. Schumacher è stato il testimonial ideale di una rinascita che voleva e doveva essere soprattutto tecnologica e industriale. L’eccellenza delle automobili di Maranello non è stata mai offuscata, e anzi è stata esaltata, da un pilota devoto alla macchina e alla pista assai più che alla propria immagine. L’evidente paradosso di un uomo-immagine senza immagine è stato perfettamente funzionale all’esigenza di dare lustro "freddo" a una delle poche eccellenze meccaniche del nostro Paese. Per battere Mercedes, Honda, Toyota, Ford, Renault, il consueto armamentario dell’estro italiano, della classe riconosciuta eppure accessoria dei nostri prodotti voluttuari, non bastava affatto. Serviva un’aura di magistero industriale, di provetta perfezione tecnica, di sapienza lavorativa che il tedesco ha saputo incarnare come nessun altro. Nel ruolo di super-professionista che conduce al traguardo una vettura super-professionale, è stato semplicemente imbattibile. L’amore della folla, rivolto da generazioni alla macchina rossa assai più che al pilota, è stato altrettanto sapiente nel sopportare intelligentemente, pazientemente il genio freddo di Schumacher. Lo stesso Enzo Ferrari aveva sempre alimentato, nei decenni, il mito (anche romantico) del pilota temerario, fino a eleggere lo spettacolare e fragile Gilles Villeneuve a suo prediletto. Ma Schumi è l’esatto contrario di Villeneuve, nessun flusso caldo o misterioso o maudit scaturisce dalla sua figura pacata, cortese ma sfuggente. Alla fine dei conti, il tedesco ha dunque traghettato l’automobilismo sportivo dalla sua epica rovente, e anche luttuosa, alla temperie contemporanea della guerra per un primato tecnologico e di mercato, più che sportivo. Un progettista di vittorie, un manager del primato era quanto serviva a Maranello per non rimanere impigliata nella sua pur gloriosa storia sportiva, inchiodata al passato, e funzionare al meglio nei durissimi anni nei quali la casa madre Fiat era impigliata in indicibili ritardi industriali, e penurie finanziarie. Che questo sia avvenuto senza grande dispendio di seduzioni mediatiche, e anzi attraverso un pilota scostante e taciturno, gentile quanto basta per non essere considerato umanamente sgradevole, è un segno notevole. Significa che la tradizionale via italiana al successo (creativa, ma anche retorica e iper-emotiva) può tranquillamente lasciare il passo alla noiosa ma infallibile serietà del lavoro. In questo senso, ci voleva un tedesco di provincia, abitudinario e per niente affascinante, per caricarsi sulle spalle un Mito e trasformarlo definitivamente in una magnifica automobile.

Michele Serra

Michele Serra Errante è nato a Roma nel 1954 ed è cresciuto a Milano. Ha cominciato a scrivere a vent’anni e non ha mai fatto altro per guadagnarsi da vivere. …