Yunus. L’utopia della ragione

16 Ottobre 2006
Muhammad Yunus, banchiere dei poveri e premio Nobel per la pace 2006, è un eretico con gli occhi nuovi. Non ha lo sguardo usato di chi dà la realtà, cose e persone, per scontata e immutabile. Di chi guarda una cosa complessa come una banca internazionale o una semplicissima come un poveraccio del Terzo Mondo e pensa che l’una e l’altro abbiano natura e destino prescritti nel Dna della storia contemporanea e sia quindi inutile cercare di modificarli o, ancor più assurdo, di farli collaborare. Ci voleva un uomo di fede, ma senza dogmi, un esploratore di possibilità, capace di vedere un trampolino dove altri avevano sempre visto un ostacolo, per provarci. Il fatto che ci sia riuscito gli ha provocato molti nemici, a destra e a sinistra, in alto e in basso. Il Nobel, almeno per un giorno, li sconfigge tutti. Ma ancor più lo fanno gli oltre due milioni di clienti della sua "banca dei poveri" sparsi in più di cento Paesi, dagli Stati Uniti all’Egitto. Sulla Mokattam, la fetida collina alle spalle del Cairo dove un milione di persone vive tra maiali neri e miasmi, frugando tra i rifiuti che vengono raccolti e condotti fin lì su carri trainati da asini, ho visto una bambina con le mani pulite lavorare, invece, a un cestino di paglia. L’avrebbe rivenduto per pochi soldi, comprato altra paglia, costruendo la semplice strada che, seguendo il filo del microcredito, porta lontano da una vita spazzatura. Ringraziava, ovviamente, Muhammad, ma il suo profeta era quel Muhammad Yunus che veniva dal Bengala e, invece del Corano, aveva dettato massime come: ‟Non sono i poveri a creare la povertà, ma le strutture sociali e le loro politiche”. Ho conosciuto personalmente Yunus qualche anno fa. Insieme con il regista Gianni Amelio stavamo scrivendo il soggetto per un film sulla sua esperienza. Lo racconto perchè la fine di quel progetto si rivelerà, in qualche piccolo e mai trascurabile modo, simbolica. Avemmo una serie di appuntamenti a Roma, a cui mi presentai con lo spirito dedicato a ogni incontro con qualcuno che si ammira da lontano: la diffidenza che previene la delusione, provocata dall’onnipresente minaccia del guru vanesio. Yunus spazzò quei timori. Comunicava una sola, distinta sensazione. E non era la passione, come mi ero augurato. Si trattava piuttosto di un fervore scientifico. Qualcosa di molto più freddo e inestinguibile. Yunus, con i suoi occhi nuovi, aveva guardato la realtà e elaborato una teoria. Gli appariva capace di eliminare la povertà. Era, per lui, semplicissima, come a Copernico dovette apparire l’idea, al tempo eretica, che fosse la Terra a ruotare intorno al sole e non viceversa. Nella visione di Yunus tutto quel che il primo mondo fa per aiutare il terzo è inutile: l’elemosina individuale, i fondi stanziati dalle organizzazioni internazionali, le organizzazioni stesse, gli interventi della Banca mondiale, la banca stessa per come è concepita. Tutti elefanti che mangiano i propri escrementi, così si espresse. Strutture gigantesche che usano la maggior parte delle risorse per dare impiego ai propri cittadini. E il poco che arriva a destinazione finisce in progetti a lunga scadenza. Utili, per carità, ma nel trascorrere di quel tempo i poveri muoiono. E muoiono poveri. I poveri non vanno in banca: non sapendo leggere non saprebbero compilare i moduli per un prestito e se anche lo facessero non l’otterrebbero perché ‟non danno garanzie”. La sua rivoluzione copernicana era semplice: portiamo la banca dai poveri, crediamo in loro, diamo loro quelle misere somme che servono per avviare un’attività facile, qualcosa di manuale. Con i proventi restituiranno il prestito, ne chiederanno un altro, inizierà un ciclo virtuoso e inarrestabile, l’economia di mercato aprirà, senza neppure accorgersene, i propri cancelli alle masse. Ci mise sopra un carico da undici: cominciamo con le donne. I suoi occhi nuovi avevano registrato una verità disponibile allo sguardo di chiunque: le donne hanno più senso di responsabilità. Narrava gli esordi come l’inizio di un teorema. Tracciava rette di iniziali successi e poi s’interrompeva. Raccontò di come aveva spiegato il "miracolo economico" del villaggio di Jobra a una conferenza patrocinata da Usaid, davanti a scettici economisti dell’Ohio. ‟Ce lo dimostri su scala più grande”, gli obiettarono. La banca centrale lo convocò. I suoi dirigenti gli proposero una sfida: prendesse due anni di congedo dall’università dove insegnava, se ne andasse nella lontana provincia del Tangail e, con un pugno di dollari e le sue idee, avviasse quel ciclo virtuoso. Fosse riuscito, l’avrebbero aiutato in tutto il Paese. Avesse fallito, avrebbe taciuto per sempre. Yunus accettò. Quando arrivò a destinazione lo accolse una parata di impiccati. La regione era in piena guerra civile. I comunisti dissero che lo mandava la Cia. I fondamentalisti islamici che dava soldi a chi si convertiva al cristianesimo. Spararono al muro di casa sua. Lui si ammalò. Combattè la febbre e i sospetti. Quando, due anni dopo, se ne andò, le donne dei villaggi, liberate dalla miseria e dall’ignoranza, vennero a salutarlo al treno sulle biciclette, a loro vietate prima del suo passaggio. Guardare con occhi nuovi significa anche mandare a pedalare i tabù. Mancava soltanto una donna. Ripudiata dal marito, rimasta incinta di un altro uomo, alla vigilia delle nozze riparatrici, per tacitare i fratelli che le rimproveravano il sacrificio di aver provveduto a una seconda dote, aveva messo sul loro comodino i soldi presi in prestito con il microcredito e si era avvelenata con l’insetticida. Ogni vittoria cammina sul cadavere di qualche sconfitta. Occorre realismo e Yunus ne ha. Non considera il libero mercato una panacea, ma un insostituibile male minore, curabile attraverso il disimpegno totale dello Stato in favore di un settore privato guidato dall’impegno sociale. La sua eresia è un’utopia controllata e matematicamente dimostrabile. Riuscì a convincerne perfino me e Gianni Amelio. Perchè, poi, il film non si fece? Nell’ultima riunione mancò l’accordo. Il co-sceneggiatore venuto dagli Stati Uniti voleva un ‟big fat check”, un assegno capace di avviare le imprese di tutte le donne del Punjab, e tra i produttori italiani serpeggiava il malumore perchè al mattino i croissant, nello yacht ancorato a Cannes, erano stati serviti freddi. Ci sono sempre due mondi, uno vive di fantasie, l’altro tira a campare di realtà. Yunus è tra i pochissimi in questo pianeta capace di camminare in entrambi con la stessa tunica bianca, lo stesso sorriso e la determinazione copernicana a trasferire quante più persone possibili da una sponda all’altra. Chiunque dica che non è possibile, sostiene Yunus, è un somaro, foss’anche il presidente della Banca mondiale.

Muhammad Yunus

Muhammad Yunus, nato e cresciuto a Chittagong, principale porto mercantile del Bengala, laureato in Economia, ha insegnato all’Università di Boulder, Colorado, e alla Vanderbilt University di Nashville, Tennessee. Ha poi …