Michele Serra: L'amaca di venerdì 17 novembre 2006

21 Novembre 2006
Non si poteva esprimere meglio di quanto ha fatto Giuseppe D’Avanzo (Repubblica dell’altro giorno) lo sconforto e l’amarezza di fronte alle immagini e alle cronache dei funerali di Mario Merola. Alla desolata durezza del commento di D’Avanzo, vorrei aggiungere solo una considerazione. In questi anni questo paese (non solo Napoli) sembra condannato, anzi auto-condannato, a ricalcare con metodica disperazione tutti i propri luoghi comuni, nessuno escluso. Il Nord gretto e incazzato, il Sud plebeo e ingovernabile, i commercianti evasori, i tassisti riottosi, il clero clericale, i politici politicanti, i servizi felloni, le corporazioni corporative. Questa ripetizione ossessiva di se stessi, al di là del dato anagrafico, è il vero segno dell’"invecchiamento" italiano: vecchio è chi dispera di cambiare e di cambiarsi, ed è ormai rassegnato a essere fino alla fine ciò che è sempre stato. Il solo luogo comune che noi italiani sembriamo non voler rispettare è quello che ci vuole "fantasiosi": niente è meno fantasioso di un funerale napoletano così esageratamente e malamente napoletano. Come esercizio salvifico, bisognerebbe che ognuno si sforzasse di uscire almeno di un centimetro, faticosamente, direi disperatamente, dal proprio avvizzito luogo comune. Un milanese sorridente e benevolo, un napoletano composto davanti a un feretro, un romano non cinico, un politico chiaro e coerente, un agente segreto che serve lo Stato.

Tutti i santi giorni di Michele Serra

Scrivere tutti i giorni, per anni, usando il materiale che la cronaca, la politica, il costume ci rovesciano addosso a ritmo forsennato. Scrivere cercando di rifare un poco di ordine, di ridare un minimo di significato alle notizie, agli umori pubblici e privati, alle proprie reazioni. Scrivere com…