Gian Antonio Stella: Un regalo gradito: il ritorno del “nostro” Antonio Martino

21 Dicembre 2006
La vittoria di Prodi alle ultime elezioni almeno un regalo lo ha fatto a tutti noi italiani, di destra o di sinistra: ci ha restituito il ‟nostro” Antonio Martino. Non quello ingessato negli abiti scuri di ministro della Difesa, alle prese con grane internazionali così complicate che pareva avere perso l’uso della parola al punto di restarsene, davanti a certe scelte stataliste del ‟suo” governo, muto come Fernando, il servo di Zorro. Ma il Martino di prima, quello polemico e caustico che bollava Margaret Thatcher come ‟una statalista moderata” e sventagliava battute irresistibili. Era ora. Messo a confronto con i semolini ironici dei Mastella, le battutine insipide dei Di Pietro, le frecciatine dei Rizzo o dei Lusetti, l’uomo che si vanta di avere in tasca la ‟tessera numero 2” di Forza Italia è un fenomeno inarrivabile. Basti ricordare, superata l’afasia ministeriale, una botta al Professore: ‟Prodi ride sempre. Viene in mente la storia della iena ridens: vive di notte, si nutre di cadaveri, fa l’amore una volta all’anno. Ma che avrà da ridere?”. È una vita che si esercita. Su tutto. Gli accordi di Maastricht: ‟Mi fanno venire in mente John Astor, che si trovava al bar quando il Titanic urtò con l’iceberg: ‘Avevo chiesto del ghiaccio, ma questo è ridicolo!’”. Sulla fecondazione assistita, in dissenso dalla destra: ‟Voterò quattro sì. Nella nostra legislazione nulla vieta l’adulterio che, come noto, può essere un metodo di fecondazione naturale. Che facciamo, ammettiamo l’eterologa se conseguenza di adulterio e la vietiamo se viene fatta in clinica?”. Sulle onorevoli di coscia lunga: ‟Mi viene in mente quello che diceva il mio amico Michael Stern, 92 anni: sì, corro ancora appresso alle donne, ma non mi ricordo più perché...”. Tornato in scena anche come polemista, ha ricordato giorni fa di essere stato il primo, in Italia, a lanciare e riproporre ‟più volte” (anche col governo Berlusconi?) l’idea di Milton Friedman ‟di istituire una nuova festa nazionale a data variabile: il giorno dell’indipendenza personale, coincidente con il giorno in cui il contribuente medio smetteva di lavorare per il settore pubblico e cominciava a poter dedicare a sé e ai suoi i frutti del proprio lavoro”. Ciò scritto, ha spiegato che ‟nel 2005 le spese totali delle amministrazioni pubbliche sono state pari a 687.291 milioni di euro” su un Pil ‟di 1.417.241 milioni di euro, il 48,5%. In base a questo indicatore, l’italiano medio ha lavorato dal 1° gennaio fino a fine giugno per lo Stato e solo il resto dell’anno per sé”. Al contrario, uno studio di Benedetto Della Vedova in base alla finanziaria 2007, proverebbe che un operaio medio sarà ora ‟schiavo dello Stato dal 1° gennaio al 6 agosto” sborsando (tutto compreso: dai contributi all’Ici, dall’Irpef alle accise sulla benzina) ‟il 59,3%”. Ci scusi, ma non avendo studiato a Chicago non capiamo: sono confrontabili ‟le spese totali delle amministrazioni pubbliche” del 2005 e il carico di tutte le imposte (più contributi) calcolato per il futuro? Ma più ancora ci resta un dubbio: tutto il suo intervento martellava contro i ‟politici e burocrati, lo "Stato"‟ e contro ‟i politici” che spendono soldi ‟in vece nostra” e contro ‟l’indebita espansione della politica”. Noi conosciamo un politico di nome Antonio Martino, figlio di un politico (Gaetano, deputato per 4 legislature e ministro degli esteri) e cugino di un politico (Franco, presidente della Regione Sicilia), che tentò la scalata alla segreteria politica del Pli venti anni fa per poi essere eletto con Forza Italia tredici anni fa e fare il ministro prima alla Farnesina e poi alla Difesa. Per curiosità: quel politico è un suo parente?

Gian Antonio Stella

Gian Antonio Stella è inviato ed editorialista del “Corriere della Sera”. Tra i suoi libri Schei, L’Orda, Negri, froci, giudei & co. e i romanzi Il Maestro magro, La bambina, …