Vittorio Zucconi: Matrimonio, no grazie le americane vivono da sole

17 Gennaio 2007
Nel biblico duello fra l’Amor Sacro e l’Amor Profano si fa largo trionfante l’Amor Precario. Le donne non ci vogliono più bene, scoprono i maschi americani leggendo il censimento, non abbastanza per sposarci e preferiscono ormai in maggioranza vivere sole o in coppie transitorie e, appunto, precarie. Il 51% delle americane non sono sposate e non era mai accaduto nella storia dei censimenti che il numero delle donne non sposate fosse più alto di quelle maritate. E se il 51% non è una maggioranza schiacciante essa sarebbe, nella nostra epoca di risultati sottili come carta di riso, abbastanza per stravincere un’elezione.
Dice l’Ufficio del Censimento, non la solita ricerca di una famelica facoltà universitaria in cerca di fondi e di pubblicità, che il partito femminile dell’Amor Precario è formato di giovani e anziane, di mezzetà e nubili, di divorziate, professioniste o casalinghe liberate (nel senso che si sono liberate del marito) che scoprono e assaporano le gioie dell’indipendenza. Niente maschi fissi, please, e soprattutto niente mariti e la ‟spinster”, la ‟zitella” compatita e dileggiata per millenni, è colei che oggi irride alle sorelle maritate.
Che l’istituto del matrimonio, civile, religioso o comunque vidimato da un’autorità civile o religiosa, fosse vacillante era un fatto noto e comprovato da quelle percentuale di divorzi che attendono una su due delle coppie che sull’altare o davanti al funzionario del comune giurano e mentono, spesso sapendo di mentire. Ma il dato che lo US Census Bureau oggi diffonde dice qualcosa di ancora più importante e di meno logoro della solita ‟crisi del matrimonio” lamentata dai nostalgici del vincolo indissolubile e monogamico (per gli altri): esso avverte che tra le donne di ogni età è in atto un rifiuto crescente della vita di coppia, di fatto o di diritto. Le giovani, impegnate nella scalata ormai senza fine ai curricula chilometrici e a titoli di studio superiori e poi del posto lavoro, così come le loro sorelle più stagionate e sopravvissute al divorzio, pospongono o respingono ipotesi di matrimonio e preferiscono, se proprio soffrono dell’”istinto del nido”, qualche forma di convivenza transitoria.
La bussola dei riti e dei miti sociali sembra avere compito un arco di 180 gradi ed essersi attestata sul polo opposto.
Il ‟precariato sentimentale”, il complesso di "Peter Pan" era un tempo l’accusa classica lanciata dalle donne agli uomini considerati allergici ai vincoli e agli impegni, ma diviene, per la maggioranza della cittadine americana, la scelta preferita, dal complesso di Peter Pan a quello dell’eterna "Campanellino". ‟Sono rimasta sbalordita da me stessa - dice la signora Elissa Terris al ‟New York Times” - quando, dopo avere divorziato a 40 anni, mi sono ascoltata rifiutare la proposta di matrimonio fatta da un distinto e affettuoso signore. Per una come me, cresciuta nella fissazione matrimonialista inculcata dalle nostre madri, respingere una proposta seria di nozze all’età di 40 anni sembrava impensabile. E invece ho scoperto che sto benissimo come sono ora. Grazie, ma no, grazie”.
In appena 50 anni, fra la fine della Seconda Guerra Mondiale e l’inizio del Millennio, la percentuale di giovani donne che risultavano sposate a 24 anni, un tempo l’età spartiacque tra la giovinezza in fiore e i primi sintomi della ‟zitellaggine” incombente, è precipitata dal 46 al 18 per cento, dunque meno di una ragazza americana ‟under 24” è sposata. Nella fascia successiva, tra i 24 e i 34 anni, la proporzione di maritate è scesa precipitosamente dall’82 al 58%. Complessivamente, appena il 35% delle americane vivevano senza un coniuge, nel 1950 e oggi sono il 51%.
In città come New York, la signore sposate di ogni età sono ormai attorno al 40% e per le americane di colore siamo ad appena una sposata su 3. Le altre due non sono coniugate non necessariamente per scelta di vita. Il ‟New York Times” osserva con molto pudore che tanti dei giovani americani neri in età sposabile risultano indisponibili perché ‟istituzionalizzati”. Cioè in carcere. Soltanto le donne provenienti dall’Asia restano affezionate, almeno statisticamente, al matrimonio, e il 60% di loro risulta maritata, mentre persino le ispaniche, cattoliche e familiste secondo gli stereotipi, seguono i trend delle altre e sono in maggioranza senza marito.
Consultati dal ‟New York Times” per dare una spiegazione al collasso del ‟vissero a lungo felici e contenti”, gli esperti offrono le ovvie spiegazioni che chiunque sarebbe in grado di dare. La vita si è allungata per tutti e in particolare per le vedove che sopravvivono ai mariti e dunque vanno, in questi casi involontariamente, a ingrossare le fila delle non sposate. Le giovani sono costrette a prolungare la loro studiosa giovinezza per trovare un lavoro, come i loro potenziali fidanzati, e dunque a rinviare il matrimonio, anche quando lo vorrebbero e la frequenza dei divorzi frena gli entusiasmi di chi sarebbe disposta a risposarsi, accettando il ‟trionfo della speranza sull’esperienza”, come osservava Bob Hope a proposito dei secondi, terzi o quarti matrimoni.
La autonomia professionale consente di non vedere più nel marito l’unica forma di pane e companatico per sé e per i propri figli, mentre è caduto finalmente ogni stigma sociale sulla ‟ragazza madre” e sui ‟figli di n.n.”. Il punto, osserva la professoressa Stephanie Coontz, che dirige una organizzazione non profit di ricerca sulla famiglia americana, è che ‟ormai il tempo nel quale il matrimonio era l’istituzione centrale dell’organizzazione sociale sta inesorabilmente passando”. Nel cosiddetto Occidente anche il matrimonio sta diventando qualcosa di sconvolgente per chi vede galoppare il collasso della civiltà: sta diventando, come dovrebbe essere, non più un dovere, ma una scelta.

Vittorio Zucconi

Vittorio Zucconi (1944-2019), giornalista e scrittore, è stato condirettore di repubblica.it e direttore di Radio Capital, dove ha condotto TG Zero. Dopo aver cominciato nel 1963 come cronista precario a …