Gabriele Romagnoli: Lolita 2007 e i video-stupratori

29 Gennaio 2007
Ma allora, se due ragazzini fanno sesso in un’aula scolastica e nessun videofonino li riprende, possono dire di averlo fatto davvero? Per cercare la risposta a questa e altre domande (che cosa ha spettacolarizzato la sessualità degli adolescenti italiani? Chi se ne interessa veramente? E stiamo parlando soltanto di loro?) sono andato dove, all’apparenza, è cominciato il fenomeno dei ‟ragazzi di vita 2007” e dove ogni giorno se ne scrive un nuovo capitolo: alla procura dei minori di Ancona. Il magistrato che mi riceve si chiama Ugo Pastore. Ha origini napoletane, residua capacità di indignazione e pazienza. Nel suo curriculum l’esperienza minorile è un passato che ritorna, sintomo di una volontà di applicarsi all’emergenza. Sulla scrivania e sulle sedie ci sono pile di fascicoli, più una ricerca dal titolo Le ragioni del bullismo. Il suo telefono, durante la conversazione, squillerà due volte, il mio una, annunciando l’invio di un messaggio. Tutte e tre le circostanze si riveleranno significative. Il suo racconto verrà interrotto da digressioni. La fine, tanto vale premetterlo, non è nota e neppure lieta.
All’inizio c’è un ragazzino che, parlando con la madre (il fatto è raro, ma ancora può verificarsi), si riferisce a una compagna usando un termine spregiativo. La madre (anche questo è raro) lo rimprovera. Gli dice di non offendere gratuitamente quella ragazza. ‟Macché gratuitamente, mi è costato un euro!”, risponde lui. Con quella moneta ha comprato da un amico l’inoltro sul videofonino della scena in cui la ragazzina, costretta, ha rapporti sessuali con alcuni coetanei. Con quella moneta pensa di aver dimostrato alla madre di avere ‟ragione”: ecco la prova. Quel videomessaggio era già circolato su decine di cellulari, archiviato in altrettante ‟gallerie”. Finalmente una persona non lo trova ‟ragionevole” e denuncia il fatto al poliziotto di quartiere, che informa la procura dei minori di Ancona. Partono le indagini, vengono sequestrati i telefonini degli accusati di violenza. Nelle gallerie si trovano fotografie e filmati, archiviati con nomi e località: Gigi-Senigallia, Loretta-Fano. Gli inquirenti danno un’occhiata: Gigi si è ripreso mentre rolla e fuma uno spinello, Loretta mentre si spoglia e si tocca. Ora, generazioni di adolescenti si sono fatti le canne o si sono masturbati. Il piacere era quello: l’atto in sé. Adesso il piacere è nel mostrare quell’atto a un pubblico. Si dirà che, ‟clintonianamente”, lo fanno perché possono, perché esiste il videofonino, ma non basta a spiegare. Molto spesso c’è una prima fascia di pubblico che assiste all’esibizione dal vivo. Poi si va cercando quella indeterminata, che sta là fuori. Non nella sua vaghezza, però, esiste un destinatario mirato. Loretta mostra la sua intimità ‟sperando che qualcuno la noti”. ‟Qualcuno” non è chiunque e ‟notare” non è vedere. Sta cercando un’agenzia di casting, un talent scout, chi sia in grado di trasformare il suo pubblico potenziale in dati Auditel.
È un’illusione: il mercato è l’ultimo baluardo delle regole, il destino lo fa la domanda, non l’offerta. E, purtroppo per Loretta, circola più esibizionismo che voyeurismo e, nel settore a cui aspira, esistono molte più Elisabette Gregoraci che Lele Mora. Il vero divertimento Davanti alla scrivania del dottor Pastore sono sfilate decine di Lorette e Gigi. Alla domanda: ‟Ti sei divertito a farlo?”, la risposta ricorrente è: ‟No, mi sono divertito a farlo sapere”. Percezione del disvalore della loro condotta: nella maggior parte dei casi, nessuna. Giustificazione: ‟Di che cosa vi meravigliate? Sono cose che fanno tutti. Non lo sapevate?”. Quelli che sapevano e tacevano non lo facevano per omertà di clan, ma ‟generazionale”. Non conoscevano né Gigi né Loretta e neppure gli stupratori. Non li proteggevano, semplicemente, pur non approvando, restavano indifferenti, rassegnati. Gli inquirenti hanno frugato dentro centinaia di computer, sono entrati in decine di blog a numero chiuso. Hanno trovato dovunque le stesse cose, decifrato con relativa facilità un linguaggio dove tutto è semplicemente scritto più in fretta, compresso, niente vocali, numeri al posto delle parole, quando è possibile: come se tutta la comunicazione fosse limitata dal display di un cellulare. Non esiste un codice per messaggi segreti, si dicono banalità con i superlativi e le consonanti: ‟6 1 GRN FG!!!” (se occorre traduzione: ‟sei un gran figo!!!”; se occorre una motivazione: perché si era ripreso mentre evacuava). Nessun rimorso, qualche pentimento. A innescarlo è la sorpresa di trovare qualcuno che non approva. Di vedere un poliziotto che rovista nella loro cameretta, la stessa che faceva da sfondo alle autoriprese, e un magistrato che lo fa nella loro breve esistenza. Cercando di capire come abbiano potuto fare, fin lì, percorso netto. Senza un amico che dicesse: ‟Siete fuori?”. Senza un genitore che... è a quel punto che il dottor Pastore ha guardato negli occhi decine di coppie adulte, compilando una personale, sconfortante statistica. I padri? Al novanta per cento sconcertati, testa fra le mani, ripiegati su se stessi, in grado di manifestare, tuttalpiù, un senso di impotenza. E le madri? Nella stessa percentuale aggressive, addirittura risentite, erinni alla difesa del fortino. Capaci perfino di contrattaccare al grido: ‟Ma queste sono solo ragazzate! Che cosa c’entra la legge?”. Qualche anno fa un gruppo di ragazzi californiani, sbandati sì, ma iscritti a un liceo, residenti nella stessa casa dei loro genitori (benché, spesso, separati) fece una bravata. Uno di loro aveva compiuto uno sgarro e, per regolare il conto, gli rapirono il fratellino quindicenne. All’inizio era una burla, poi persero il controllo della situazione e ammazzarono l’ostaggio. Venuto a conoscenza della storia dalla figlia, compagna di scuola degli assassini, il regista Nick Cassavetes ci ha girato un film, Alpha Dog, che esce in Italia il 23 febbraio. Come la pellicola ricostruisce, nessuno dei ragazzi si rende veramente conto di quel che sta facendo, nessuno dei loro amici cerca di fermarli, nessuno dei genitori (tranne quelli del rapito) sembra allarmarsi. Finché la situazione degenera. Come è stato possibile? La risposta di Cassavetes è: ‟I problemi sono sorti perché questi ragazzi si sono ritrovati a dover prendere delle decisioni senza nessun tipo di controllo o interferenza. Si sono create una serie di circostanze e coincidenze che hanno generato degli eventi che non sarebbero dovuti accadere”. Le circostanze e le coincidenze di Ancona sono che i comportamenti dei Gigi e delle Lorette non appaiono censurabili per i loro compagni, non per le loro madri. E la scuola? Altra statistica: ‟ Il novantanove per cento dei danni alle scuole non viene risarcito, spesso non c’è neppure la richiesta”. Perché? ‟Per salvaguardare l’immagine dell’istituto, perché non si dica che è mal frequentato e diminuiscano il prestigio e le iscrizioni”. * * * Perduti dal perdono Gli amici non disapprovano, le madri difendono, la scuola ci passa sopra. Qualche volta perfino la legge chiude un occhio. Il dottor Pastore estrae un ricordo dal passato: ‟Ero a Napoli, c’era questo ragazzino che faceva il diavolo a quattro da quando aveva dieci anni. Rapine, estorsioni, violenze, di tutto, ma non era imputabile. Finché compì quattordici anni. Lo aspettavamo al varco, alla prima infrazione l’arrestammo e processammo. Chiesi una condanna. Il giudice preferì concedergli il perdono giudiziale. Sa che cosa disse lui: "Non sono manco buono per la galera!". Si sentì in qualche modo rifiutato, abbandonato perfino dalla legge. I ragazzi sono manichei, esigono condanne per chi sbaglia. Anche per sé, se capiscono di aver sbagliato, di aver violato una legge. Invece vengono perdonati. Allora smarriscono il senso delle cose in maniera definitiva. Vuol sapere come è finito quel ragazzino di Napoli? Morto per strada, a diciotto anni, in un regolamento di conti”. Ho con me una cartella di ritagli: dopo i fatti di Ancona c’è una violenza filmata a Jesi, un commercio di immagini porno in una scuola di Ascoli, un traffico di mms osé in cambio di ricariche a Pesaro, un altro di videoriprese di un suicida spappolato sui binari a Fano. Nelle Marche c’era qualcosa di avariato nel latte materno tredici, quattordici, quindici anni fa? In realtà ogni fenomeno criminale emerge dove lo persegui. Da qui ci si allarga a tutta l’Italia: stupro registrato e diffuso a Napoli, filmata nuda per ‟prova d’amore” e smerciata a Ragusa, violenza di gruppo scaricata sul web in Sardegna. Durante la gita scolastica o l’intervallo. Nel cortile del liceo o all’oratorio. Sbocciano le devianze e fioriscono gli alibi. I violentatori dicono: ‟L’abbiamo fatto perché l’abbiamo visto in tv” e i media rilanciano senza che nessuno chieda: ‟In quale programma, esattamente?”. ‟Era su Internet”. E certo, su You Tube trovi il video di qualsiasi cosa (non solo Di Pietro che spiega il consiglio dei ministri, anche un gatto che si masturba) e su un altro sito il catalogo delle perversioni filmate va oltre la fantasia (chi poteva immaginare gli appassionati di starnuto?). Internet è come il mondo, contiene tutto, solo che ogni tanto bisognerebbe verificare le ultime pagine scaricate da chi ci si aggira. O rassegnarsi come fa Cassavetes quando conclude: ‟Alla fine quello che ho capito, e di cui io stesso sono colpevole nella mia vita, è che viviamo in un mondo complicato, in cui entrambi i genitori hanno un lavoro e una vita molto intensa”. Dice il dottor Pastore: ‟I ragazzi ci vogliono più seri”. E credo che intenda come un modo per dimostrarglielo quello di ritenerli responsabili. * * * Tre squilli, tre notizie Poi ci interrompono le tre telefonate. Nella prima un carabiniere riferisce gli sviluppi di un fatto. Giorni prima quattro ragazzi hanno vandalizzato una scuola. I tre non imputabili hanno confessato. Il quarto, quindicenne, no. La sera prima sua madre ha indetto una riunione dei genitori coinvolti, preteso che inducessero i loro figli a ritrattare. Sembra l’abbia avuta vinta. Nella seconda emerge l’ultimo caso di cronaca, che il giorno dopo sarà sui giornali: sesso sulla cattedra durante l’assemblea scolastica, con un pubblico che assiste, filma, diffonde. E la scuola che, invece di informare le autorità, avvia un’indagine interna, a protezione della propria reputazione. Se il magistrato cercava conferme alle sue tesi, le ha appena avute. La terza telefonata è in realtà un sms che mi invita a cliccare su un sito e dare un codice per vedere un’immagine. Scoprirò che nel videomessaggio una signora mostra le sue parti intime. L’ha inviato a un suo amico, che l’ha inviato a un suo amico, che l’ha inviato a un suo amico. Dopo una ventina di passaggi è arrivato (anche) a me. Se la catena continua può finire a suo marito (che magari non la riconoscerà) o a suo figlio, che magari lo smercerà per un euro. Non è colpa sua, viviamo in un mondo complicato. Chi può dirsi innocente? Le vittime, almeno: come la ragazzina violentata e filmata nel caso che ha dato il via alla videovalanga. Che fine ha fatto? Non è più uscita di casa. Sotto le sue finestre passano a ogni ora del giorno e della notte strombazzando e urlando insulti. La sorella minore teme di vivere la stessa esperienza. I genitori, che non sono ricchi e hanno lavori dipendenti, hanno messo in vendita la casa, deciso di trasferirsi altrove. Se un altrove esiste. obiettivo condiviso Un videocellulare e un mms. Un cellulare, un pc e poche semplici operazioni. Per far "girare" i propri video amatoriali su Internet non c’è bisogno di grandi specializzazioni. Come si fa? Se si possiede un cellulare che invia mms, si crea un filmato e lo si manda a YouTube (il più celebre e utilizzato dei siti per la condivisione delle immagini) utilizzando un apposito numero di telefono. In alternativa si può attivare un collegamento via Bluetooth (o con un cavetto) e si scarica il video sul proprio personal computer. Poi, una volta che ci si è registrati sul sito, si manda il filmato via e-mail. Basta un clic su "Upload Videos" e il video diventa condivisibile con altri migliaia (se non milioni) di utenti. Secondo una recente indagine dell’Eurispes, in Italia l’82,6 per cento degli adolescenti usa quotidianamente il cellulare per fare foto, inoltrare immagini e piccoli video

Gabriele Romagnoli

Gabriele Romagnoli (Bologna, 1960) Giornalista professionista, a lungo inviato per “La Stampa”, direttore di “GQ” e Raisport è ora editorialista a “la Repubblica”. Narratore e saggista, il suo ultimo libro è …