Vittorio Zucconi: Il sì di Giuliani. "Corro per la Casa Bianca"

16 Febbraio 2007
Ora che finalmente anche the kid from Brooklyn, il ragazzo venuto da Brooklyn come lui ama definirsi, ha ammesso di puntare alla lotteria della Casa Bianca 2009 con un "sì" netto negli studi della Cnn ieri, Rudolph William Louis Giuliani III, misericordiosamente più noto come "Rudy", è divenuto la terza, sensazionale novità di una stagione elettorale americana che potrebbe produrre effetti mai visti, un Presidente nero, un Presidente femmina o, in Rudy, un presidente italo-americano. Con il suo «sì, sono in gara”, il figlio di un emigrato toscano venuto da Montecatini, Harold Giuliani, che conobbe le celle di Sing Sing con una condanna per rapina a mano armata, è divenuto all’istante il vero avversario da battere per tutti. Lo è per i cosiddetti compagni del partito repubblicano e per i concorrenti democratici che avrebbero in lui un avversario difficile da definire e quindi difficile da battere.
Giuliani è l’incubo che il Partito Democratico, il partito di Hillary, di Obama, di Edwards, forse di Al Gore se decidesse di uscire dalla ibernazione ecologista, non vuole vedere materializzato quel martedì 4 novembre del 2008, quando sarà scelto il successore di George Bush. Non è Bush, dal quale è lontanissimo, e questo è essenziale in una nazione che ha voltato le spalle al tragico George D’Arabia. Non è un cristiano fondamentalista, un bible thumper, un batti Bibbia all’inseguimento dei voti del sud salmodiante. E’ convinto che «l’aborto sia un orrore, ma che un governo non possa negare alle donne il diritto di scegliere”, pura eresia per i buoni elettori di destra. E’ alla sua terza moglie, dopo due pasticciati e sordidi divorzi, dunque è umano. E’ sopravvissuto al cancro, lo stesso che uccise suo padre, alla prostata. Non è omofobico.
Non aderisce alla dottrina della manipolazione manichea del «noi contro loro”, costruita dallo stratega Karl Rove per far vincere il suo assistito Bush. E sarà impossibile appiccicargli quella etichetta di italianità sospetta che corrose un altro potenziale presidente italo americano, Mario Cuomo, dopo essere stato per anni un feroce inquisitore di Mafia nel suo incarico di Procuratore della repubblica di New York.
Il "sindaco d’America", il titolo honoris causa che gli fu attribuito dopo la magnifica prova di nervi e di efficienza data l’11 settembre, pone alla politica americana lo stesso puzzle che 16 anni or sono pose un governatore del Sud, chiamato Bill Clinton, il dilemma di un politicante difficilissimo da definire e da incasellare. Come Clinton, anche «il ragazzo venuto da Brooklyn” è sempre troppo a destra per la sinistra (fu il «sindaco sceriffo”, il profeta della «zero tolerance” esecrato dai libertari), e troppo a sinistra per la destra (aborto, tolleranza per i gay, diffidenza per la follie dei cambi di regime e le guerre facoltative). Non è neppure sfiorato dagli schizzi radioattivi delll’Iraq, ma non si oppone all’ultima carica, alla miniescalation di Bush per creare l’apparenza della vittoria. Come Clinton che era favorevole alla demolizione del «welfare state”, dell’assistenzialismo rooseveltiano, così Giuliani è, al contrario, per un conservatorismo sociale, che riequilibri la bilancia della ricchezza nazionale ribaltata in favore di coloro che il reaganismo prima e poi il bushismo hanno lasciato cadere.
Rispetto agli avversari interni ed esterni ha un curriculum che nessuno gli può contestare, perché mentre i repubblicani come John McCain e Sam Bronwback del Kansas (l’alfiere dei flagellanti anti aborto, anti gay e del «creazionismo” contro la scienza atea) o i democratici come Hillary Clinton o Barack Obama sedevano in Senato, lui amministrava, e bene, una città Stato di dieci milioni di abitanti. E nessun candidato, dopo l’eccezione Kennedy nel 1960, ha mai vinto una Casa Bianca senza essere prima passato per l’esperienza di governo di grandi comunità.
Nel groviglio di paradossi che questa straordinaria stagione politica propone, Giuliani è Clinton e Hillary è Bush.
Mentre la signora tenta di utilizzare la strategia di Bush, cioè consolidare la propria ala elettorale ideologicamente sicura poi muovere il centro e soprattutto sparecchiare il maggior numero possibile di finanziamenti e di elezioni primarie, Giuliani segue il copione di Bill. Non perde tempo a corteggiare quei 50 milioni di elettori repubblicani ultraconservatori nella certezza che comunque essi voteranno per lui, pur di esorcizzare la detestata femmina o il temuto uomo nero. E occupa già, con il prestigio accumulato l’11 settembre, il centro dello spettro d’opinione pubblica.
Dunque Hillary e Rudy hanno problemi opposti, avendo strategia e personalità opposte. Hillary sa di avere già in borsetta la investitura del proprio partito, ma dovrà poi conquistare quel voto flottante e indipendente che ora non ha. Rudy teme di non poter vincere le primarie, che tendono a premiare i candidati più radicali, ma sa che, se dovesse ottenere l’investitura, avrebbe già nel taschino molti elettori indipendenti e centristi. Nei sondaggi, Giuliani è davanti a McCain, le cui contorsioni per essere tutto per tutti lo stanno danneggiando, ed è leggermente davanti a Hillary, nelle misurazioni testa a testa. Dicono che non abbia grande carisma, ed è vero. Che non sia un seducente affabulatore come Clinton, che non abbia l’aureola misteriosa e il fascino di Obama né la cordialità superficiale da compagno di bevute al liceo che il Bush più giovane riusciva a comunicare. E’ impaziente, irritabile, a volte un po’ sprezzante, quando il suo lievissimo difetto di pronuncia, la «esse”, sibila troppo sopra il mento aguzzo.
Ma per il magistrato uscito dalla New York University che dedicò la vita a inseguire mafiosi e falsificatori di bilanci negli anni ‘80, ricostruire le rovine della politica americana devastata da 8 anni di Bushismo deve sembrare un gioco, dopo avere ripescato New York dal cratere dell’11 settembre.

Vittorio Zucconi

Vittorio Zucconi (1944-2019), giornalista e scrittore, è stato condirettore di repubblica.it e direttore di Radio Capital, dove ha condotto TG Zero. Dopo aver cominciato nel 1963 come cronista precario a …