Umberto Galimberti: Cristianesimo e diritti

21 Febbraio 2007
Nell’attacco alle unioni civili, la Chiesa da un lato ribadisce con estrema coerenza la sua concezione che subordina la sfera politica alla destinazione ultraterrena che attende ogni individuo in ordine alla salvezza. E dall’altro, dopo aver rivendicato il primato dell’individuo sulla società, nella più perfetta incoerenza alla sua rivendicazione, non perde occasione di conculcare i diritti dell’individuo.
Il primato dell’individuo, infatti, era ignoto sia alla tradizione giudaica, dove l’alleanza era tra Dio e il suo popolo, sia all’altra fonte della cultura occidentale, la grecità, dove l’individuo era subordinato alla città (pólis) e la sua autorealizzazione, nonché la conduzione di una "vita buona e felice", come dice Aristotele, non poteva avvenire se non nella relazione con i propri simili. Ne segue che le leggi della città realizzano, per gli antichi greci, non solo il bene comune, ma anche il bene individuale, non essendoci per l’individuo altra dimensione di autorealizzazione che non sia su questa terra e nella città.
Aristotele in proposito è chiarissimo: "In realtà le stesse cose sono le migliori e per l’individuo e per la comunità e sono queste che il legislatore deve infondere nell’animo degli uomini. [...] Gli uomini, infatti, hanno lo stesso fine sia collettivamente sia individualmente, e la stessa meta appartiene di necessità all’uomo migliore e alla costituzione migliore" (Politica, 1333b-1334a).
Con l’avvento del cristianesimo l’individuo si separa dalla comunità perché alla sua "anima", in cui è stato posto il principio della sua individualità, si prospetta un destino ultraterreno in cui l’individuo, e non la comunità, trova la sua autorealizzazione. In questo modo la vita individuale si separa dalla vita politica, perché la felicità non è più pensata nel complesso della vita sociale, ma lungo quell’itinerario che approda al di là della vita terrena raggiungibile singolarmente e non comunitariamente.
La realizzazione del bene, e quindi la salvezza, è affidata all’uomo in quanto singolo individuo, mentre alla vita collettiva e politica è affidato il compito di creare le condizioni per la realizzazione del bene individuale, quindi il compito della limitazione del male. In questo modo la realizzazione individuale viene separata dalla realizzazione sociale e, in nome della sua interiorità e della sua destinazione ultraterrena, l’individuo cristiano prende a vivere separato nel mondo e poi dal mondo.
Perciò Agostino di Tagaste può dire: "Esistono due generi di società umane, che opportunamente potremmo chiamare, secondo le nostre Scritture, due città. L’una è formata dagli uomini che vogliono vivere secondo la carne, l’altra da quelli che vogliono vivere secondo lo spirito" (La città di Dio, Libro XIV, § 1).
Da Agostino in poi la scissione tra individuo e società sarà il tratto caratteristico del cristianesimo, per il quale la salvezza e la conseguente felicità, oltre a non essere di questo mondo, possono essere conseguite a livello individuale e non collettivo. Ma allora, se la destinazione dell’individuo è ultraterrena, la sua esistenza, pur svolgendosi nel mondo, dovrà essere separata dal mondo, e il senso della sua vita privatizzato o spiritualizzato.
Si consuma così la separazione tra individuo e società. All’individuo il compito di conseguire la propria salvezza ultraterrena, alla società e a chi la governa il compito di ridurre gli ostacoli che si frappongono a questa realizzazione. Morale e politica, unificate nel pensiero greco, divaricano nel pensiero cristiano, perché la destinazione dell’individuo non ha più parentela con la destinazione della società.
Questa è la ragione per cui Rousseau scrive che "Il cristiano è un cattivo cittadino", e che la religione cristiana va superata con una religione civile capace di spostare l’asse di riferimento da Dio agli uomini: "Resta dunque la religione dell’uomo o il cristianesimo che, lungi dall’affezionare i cuori dei cittadini allo Stato, li distacca come da tutte le altre cose terrene. Non conosco nulla di più contrario allo spirito sociale. [...] Il cristianesimo è infatti una religione tutta spirituale, occupata unicamente dalle cose del cielo; la patria del cristiano non è di questo mondo" (Il contratto sociale, Libro IV, capitolo VII).
Se il primato dell’individuo, che il cristianesimo e non altri ha introdotto nella cultura occidentale, è il principio che consente alla Chiesa di subordinare la politica alla propria visione del mondo, questo principio le si rivolta contro o nella versione religiosa del protestantesimo, dove ciascun individuo se la vede direttamente con Dio senza mediazione ecclesiastica, o nella versione laica, dove ciascun individuo se la vede con la propria coscienza, assumendo per intero le responsabilità che derivano dalle proprie scelte.
Assistiamo così a quello strano fenomeno per cui il principio cristiano del primato dell’individuo, utilizzato nei secoli dalla Chiesa per subordinare a sé la politica, oggi, a secolarizzazione avvenuta, diventa il principio che fonda il primato della politica su ogni ingerenza ecclesiastica.
Infatti, è per esercitare un proprio diritto individuale che chi non può generare per fecondazione naturale accede alla fecondazione assistita, chi non può più sopportare sofferenze intollerabili decide di porre fine ai suoi giorni, ed è sempre per esercitare un diritto individuale che chi non vuole contrarre matrimonio possa convivere con amore nel godimento dei diritti civili.
Il laico (parola che deriva dal greco laikós che significa "ciò che è proprio del popolo") ringrazia il cristianesimo per aver introdotto nella nostra cultura il primato dell’individuo e, in coerenza, rivendica l’esercizio dei diritti individuali. In questa rivendicazione c’è il riconoscimento di fatto e di principio delle "radici cristiane" della cultura europea, per non dire occidentale. E chiede alla Chiesa di non conculcare questa radice su cui sono cresciuti i "diritti individuali" che caratterizzano la nostra cultura.

Umberto Galimberti

Umberto Galimberti, nato a Monza nel 1942, è stato dal 1976 professore incaricato di Antropologia Culturale e dal 1983 professore associato di Filosofia della Storia. Dal 1999 è professore ordinario …