Umberto Galimberti: C´è un farmaco con cui rispondiamo a qualsiasi emozione

18 Marzo 2007
Dure, gommose, morbide, ripiene, le caramelle sono tornate di moda. Anzi sono nati negozi specializzati che vendono esclusivamente caramelle di tutti i gusti e per tutte le preferenze. Non c´è studio di avvocato o di commercialista che non abbia nella sala d´aspetto un bel vassoio di caramelle colorate.
Non c´è albergo che nella hall non disponga sul banco un contenitore di caramelle da scartare e da succhiare mentre si consegna la carta di identità e si firma il modulo della propria presenza. Non c´è tabaccheria che non esponga in bella vista vicino alla cassa una scaffalatura di caramelle da un euro a confezione. Perché?
Perché la caramella è un piccolo ‟farmaco” (nell´accezione greca di ‟rimedio” e ‟veleno”) con cui cerchiamo di superare, o perlomeno di attenuare, piccoli momenti di depressione, di stress, di noia, di ansia, che non sapremmo come altrimenti contenere. E allora ricorriamo a quella pratica arcaica a cui ci aveva abituato la nostra mamma improvvida e poco empatica che ci offriva il seno o il biberon non solo quando avevamo fame, ma anche quando ci sentivamo male, o volevamo giocare, o avevamo bisogno di scambi e di contatti.
La caramella come panacea universale per soddisfare tutti i bisogni, per soffocare ogni velleità di autonomia, per contenere stati d´ansia o alleviare delusioni, col risultato di non riuscir più a distinguere nella vita adulta la differenza tra la fame, la tensione, la depressione, la collera.
Per effetto di questa indistinzione, la caramella diventa la risposta polivalente di fronte a qualunque sensazione o emozione.
L´ansia, la depressione, la collera, l´aggressività, la gelosia, come pure la gioia e l´allegria si tramutano in voracità di caramelle dure per l´aggressività, gommose per la gelosia, morbide per la depressione, ripiene per il vuoto.
La nostra società, che ci vuole tutti consumatori felici e soddisfatti, ci fa regredire a quello stadio infantile in cui prediletti erano i sapori dolci.
Preludio ingannevole per una vita che di dolcezza ne avrebbe incontrata poco.
E infatti quante caramelle stanno al posto di carezze mancate, di sguardi accoglienti, di baci negati. La soddisfazione orale è un sostituto di tutto quello che nella vita ci manca. E non è certo un vassoio di caramelle offerte in aereo o sugli Eurostar che ci compensano dell´impersonalità che ci circonda, in quel perfetto anonimato in cui tu stesso finisci col preferire che nessuno ti rivolga la parola.
‟La bocca è al servizio di due padroni” diceva Freud: l´alimentazione e il sesso. Metaforizziamo queste due figure.
L´alimentazione riempie un vuoto. E di quanto vuoto sia circondata la nostra vita, per affaccendata che sia, ognuno quotidianamente ne fa esperienza. E allora si torna a quei valori sicuri che sono le soddisfazioni orali, che per un momento promettono di cancellare, se non proprio il vuoto, la nausea che lo accompagnano. La caramella qui svolge un ruolo essenziale.
Addolcisce la bocca, se di menta rinfresca il respiro, una piccola rinascita che per un attimo ti riconsegna alla memoria delle gioie infantili.
E poi succhiare e deglutire come un giorno facevamo col seno materno, prototipo di ogni relazione amorosa. E però, ancora una volta, sostituto di una relazione insoddisfacente, quando non di una relazione che non c´è.
Vuoto di identità e vuoto di relazione che si affacciano nell´atto in cui scartiamo una caramella nell´inconscia speranza di trovarci l´antidepressivo, l´antistress, l´antinoia, il farmaco per qualunque avvenimento destabilizzante, per qualsiasi situazione che richieda una strategia di adattamento. Il tutto accompagnato dal senso di colpa che il nostro costume della magrezza, delle palestre e delle diete diffonde a piene mani per la nostra infelicità.
Nelle dimensioni del nostro corpo, infatti, si agitano i più profondi perché i più primitivi problemi dell´anima. Problemi banalizzati, dolori frivoli, spesso liquidati da un´esortazione inutile o da un sorriso benevolo.
Ma essere grassi in una società che predilige i magri equivale a una neppur tanto mascherata esclusione sociale.
Per questo tutte le discipline che un tempo servivano per salvare l´anima (mortificazione, astinenza, digiuno) sono state reintrodotte sotto forma di esercizi, diete, moderazione e misura, non tanto per garantire la salute del corpo, quanto per salvare quell´identità e quella possibilità di essere accettati e cercati che l´obesità compromette.
La caramella risolve anche questo piccolo conflitto. È piena di zucchero, è vero, ma è piccola, si scioglie, non appesantisce.
Soddisfa e non colpevolizza come un dolce guarnito di pasticceria.
E poi la giustificazione: la vita non si sostiene senza piccole gratificazioni. A cui segue il proposito: domani non ne mangio più. Perché, dopo mangiato, la fame passa, e in quel momento la nostra regressione allo stadio infantile ci fa dimenticare che domani la fame ritornerà. E ritornerà come risposta compulsiva ad ogni circostanza stressante, perché non abbiamo elaborato altre strategie all´infuori di quelle che abbiamo imparato da piccini.
Nella sua innocenza, nella sua semplicità e anche nella simpatia che suscita, la caramella è una risposta infantile alle frustrazioni, agli stati d´ansia, ai vissuti di inadeguatezza che la vita di oggi non cessa di prodigare. Nulla di tragico, intendiamoci, e neppure di preoccupante. Ma perché non tentare di capire i nostri moti d´anima e le sue strategie di compensazione anche a partire da una caramella?

Umberto Galimberti

Umberto Galimberti, nato a Monza nel 1942, è stato dal 1976 professore incaricato di Antropologia Culturale e dal 1983 professore associato di Filosofia della Storia. Dal 1999 è professore ordinario …

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