Erri De Luca: In mezzo a questo mare nostro

22 Marzo 2007
Per chi è nato sotto un vulcano piantato in mezzo a un golfo, il mare è stato una via di fuga. Dove s’arresta il fuoco inizia la salvezza. Noi di laggiù siamo di suolo scosso, ogni generazione è stata buttata fuori casa da un terremoto, ma l’albero maestro del terrore è il vulcano. Ognuno di noi nati a Napoli, anche nel chiuso di una stanza, sa dove sta il cratere. Sta a oriente della città e l’orienta. Anche nel sonno uno di noi sa se sta dando la testa o i piedi al gran fornello.
Perciò il mare per noi è Stato lo scampo, e la striscia di sabbia il posto più sicuro. Lì il popolo di una volta prolungava le notti inventando la ruffiana tarantella, danza di chi vive su un suolo instabile, da saltarci sopra.
È stato un gran mare il nostro, anche se minimo in confronto all’oceano. Ogni metro di costa ha cento storie e scorie. Ci si è sbizzarrita la più sfrenata fantasia teologica dell’umanità. Fervevano i più svariati culti religiosi, fumavano i più assortiti altari, dedicati a ogni specie di divinità di terra, mare, aria, onorate col fuoco dei sacrifici. Brulicavano i culti e le immagini prima dell’avvento di una divinità estremista che dichiarava di essere l’unica e la sola. Tutte le altre andavano estirpa- te, erbacce di stagione, dal suo campo. Si piantò in un bordo orientale del Mediterraneo, nel breve tratto tra la costa e il corso del Giordano, fiume orgoglioso che si rifiuta di mischiare le sue acque con le altre e va in solitudine a finire nella depressione del Mar Morto.
Da quel tratto di terra, stretto tra un’acqua dolce e una salata, il monoteismo partì a conquistare il mondo per via navale sotto specie cristiana. Il primo cristianesimo fu marinaio, esposto ai naufragi.
Si dice che l’Italia è una penisola a forma di stivale. Non la vedo così. Somiglia invece a un braccio che si allunga da una spalla d’Europa e si prolunga in mare. La Puglia è il pollice di una mano aperta verso il largo.
Non è uno stivale, non ha preso a calci nessun popolo venuto ad abitare, per conquista o in fuga. L’italiano, popolo e lingua, proviene da storie di viandanti e naviganti, greci, fenici, d’Africa e di Oriente. Siamo per geografia un braccio di terra che finisce a mano aperta. Dal mare abbiamo ricevuto ricchezze e invasioni, pirati, bachi da seta, aritmetica e morbi che ci hanno rimescolato i sangui e le fattezze.
E in mezzo a questo mare nostro stanno le isole più belle della terra. Abbiamo saputo presto che la bellezza è rischio da correre, che fa ubriacare e correre ai coltelli. Abitiamo questa bellezza da gelosi, da cornuti, da santi pescatori portati in processione sulle barche, l’abitiamo col nero delle vedove sotto il sole a picco, che non distingue il colore del lutto da quello dell’ombra.
Nostro colore è il bianco steso a pennello sopra i tetti a rinfacciare il sole, che respinto scatena i suoi colori in mare, in cielo e nei frutti della terra.
Mare è stato il destino di milioni di nostri salpati dal molo Beverello per leAmeriche, nel grembo delle stive della terza classe, sotto la linea di galleggiamento. Mare è il destino dei migratori nuovi che lo raggiungono dopo un milione di passi sulle piste di Africa e di Oriente. S’imbarcano senza geografia da qualunque spiaggia verso qualunque approdo, sopra barconi esausti. Imparano che il mare è una botola aperta sotto i piedi, un viaggio su dieci si perde sul fondo. Mai è stato cosi pieno di vite perse e di vite salvate, il nostro mare. Aspetto un Omero che renda loro onore con un’epica nuova e un alfabeto antico.
Infine mare: noi popoli di costa mai saremo un’espressione politica, mai fonderemo gli Stati Uniti del Mediterraneo. E questa è buona sorte.

Erri De Luca

Erri De Luca è nato a Napoli nel 1950. Ha pubblicato con Feltrinelli: Non ora, non qui (1989), Una nuvola come tappeto (1991), Aceto, arcobaleno (1992), In alto a sinistra (1994), Alzaia (1997, …