Gian Antonio Stella: Da Roma a Dakar. Un nuovo rally? Sì, della monnezza

26 Aprile 2007
Il ‟mal d’Africa” può lasciarsi dietro qualcosa di più che una struggente nostalgia. Ne sa qualcosa l’Ama, l’azienda che si occupa della raccolta della ‟monnezza” romana e che fra qualche giorno sarà costretta a far pagare ai cittadini circa il 15% in più di Ta.Ri., la tariffa sui rifiuti, non solo per ‟fornire un servizio sempre migliore”, come dicono sempre le pubblicità in questi casi, ma anche per dare una sistematina ai conti. Sui quali peserebbe una tragicomica avventura africana denunciata dal deputato nazional-alleato Marco Zacchera in una interrogazione che, a distanza di oltre un mese dalla presentazione, non ha ancora avuto risposta. Partiamo dall’inizio. Siamo nei primissimi anni del secolo. Al Comune di Roma si fa strada l’idea di liberarsi dell’Ama e di privatizzarla. Ma come rendere appetibile l’azienda agli occhi della grande imprenditoria italiana e internazionale? Risposta: ‟Allargare gli orizzonti!”. Ed è così che l’‟Ama International” comincia a battere i mercati europei e americani, asiatici e africani, a caccia di appalti che possano dare alla società il profilo di una dimensione planetaria. Ed ecco la firma di accordi per raccogliere l’immondizia nei quartieri settentrionali del Cairo, in Polonia, in Cile, in Senegal e perfino nella capitale honduregna Tegucigalpa. Più un contratto di assistenza con il municipio di Luanda, in Angola. Più progetti di allargamento degli affari in Bulgaria (dove Ama international ha il 33% di una società locale, la Italeko spa) in Bahrain, nell’Arabia Saudita, in Iran e negli Emirati Arabi Uniti. In alcuni casi, a quanto pare, va abbastanza bene. Come al Cairo. In altri l’obiettivo ambizioso di una ‟multinazionale della monnezza” va a schiantarsi però con una valutazione sgangherata dei pro e dei contro. Come a Dakar, in Senegal. Dove le autorità locali firmano nel gennaio del 2002 un contratto decennale, rinnovabile automaticamente per 25 anni, per 8 milioni di euro l’anno. E cosa fa, l’Ama, stando all’interrogazione di Zacchera? Mette insieme i camion più vecchi e sgarrupati che ha, li carica su una nave e li manda giù a raccogliere pattume nella capitale africana. L’impresa, tra mille grane e crescenti polemiche (basti dire che un giornale locale, il ‟Sud Quotidien”, arriverà a raccogliere l’accusa di un ministro senegalese secondo il quale l’operazione sarebbe stata gestita con un ‟sistema mafioso”), va avanti un paio di anni. Finché i contrasti (acuiti dalla sconfitta del sindaco di Dakar, considerato ‟amico” dei romani, nelle elezioni presidenziali) esplodono quando, dopo acquazzoni violentissimi seguiti da un allagamento generale, la capitale senegalese si ritrova nell’autunno del 2005 a sguazzare letteralmente nell’immondizia. E il tutto, colmo della scalogna, proprio nei giorni seguiti allo sgozzamento rituale di circa 400 mila agnelli. Cosa che, come potete immaginare, rende l’aria irrespirabile. E spinge le autorità a rompere il contratto con l’azienda capitolina per firmarne uno nuovo (molto ma molto più caro) coi francesi di ‟Veolia”, ex ‟Generale des Eaux”. Costo dello sventurato ‟rally della monnezza” Roma-Dakar: cinque milioni e mezzo di euro di buco. Più altri 18 se il governo senegalese, Dio non voglia, decidesse di rinviare all’infinito il pagamento dei soldi che deve. E meno male che laggiù, quando un’azienda chiude, sono meno fiscali sul licenziamento degli addetti. Nei due anni di attività sul posto l’‟Ama International” aveva assunto infatti 1.800 persone. Fino a diventare di fatto una delle maggiori, se non la maggiore, impresa senegalese. Sempre così, noi italiani. Sempre alla grande...

Gian Antonio Stella

Gian Antonio Stella è inviato ed editorialista del “Corriere della Sera”. Tra i suoi libri Schei, L’Orda, Negri, froci, giudei & co. e i romanzi Il Maestro magro, La bambina, …