Umberto Galimberti: La ragazza uccisa in metropolitana. Il sottomondo in mezzo a noi

04 Maggio 2007
Hanno individuato e arrestato le due ragazze rumene che nella metropolitana di Roma, con la punta dell’ombrello hanno rotto l’arteria cerebrale di una ragazza italiana poco più della loro età, spegnendole la vita. Quello che irrita è questo morire per caso, per una pura coincidenza, semplicemente per essersi trovata su una vettura della metropolitana invece che su un’altra. Quello che invece c’è da pensare è perché in una metropolitana affollata nessuno si muove, nessuno interviene, e le forze dell’ordine devono affidarsi alle telecamere per individuare le responsabili di quel terribile gesto. Ma ancor più inquietante è constatare quanto poco valga una vita rispetto al denaro, che probabilmente le due rumene volevano sottrarre alla ragazza italiana che ha perso la vita. Non solleviamo subito la polemica degli immigrati che giungono da noi solo per delinquere. Fatti del genere, dove si scambia la vita col denaro, avvengono con una certa frequenza e regolarità anche da noi, come le cronache quasi quotidianamente ci raccontano. Ma se è vero, come dicono le informazioni raccolte, che le due rumene, di cui una minorenne, erano giunte in Italia e, come di solito accade, ingannate e avviate alla prostituzione, allora se anche la loro vita era stata scambiata e venduta per denaro, va da sé che l’equazione vita=denaro già da tempo deve aver fatto cortocircuito nella loro mente, senza più alcuna gerarchia di valore. Venendo da noi, quello che hanno imparato nella loro ancor giovane vita è che il loro corpo aveva solo un valore mercantile, mentre della loro anima non ne sapevano più niente. L’avevano persa nei night dove si celebrano quei sabba mortificanti con tanto di balli propiziatori e assunzione di alcol, quando non di droghe estasianti, in quei locali bui fiammeggiati di luci psichedeliche che stanno a dire che per giovani e belle ragazze immigrate la luce diurna, che ti fa incontrare e familiarizzare con il prossimo, ha la durata di un lampo. Senza relazioni, se non con chi dirige il traffico dei corpi spesso in modo brutale, attento solo al denaro che porti a casa la sera, senza altro riconoscimento se non quanto rendi, come vogliamo pensare che giovanissime ragazze sradicate non soccombano alla violenza e, quando possono non esercitino violenza? E allora, prima di gridare «fuori l’immigrato», come piacerebbe al nostro inconscio un po’ razzista, sempre pronto a semplificare i problemi perché così è più facile trovare soluzioni, dobbiamo renderci conto che per questo genere di gesti non c’è differenza di razza, di estrazione, di cultura, di provenienza. Essi segnalano piuttosto la presenza di un sottomondo che vive ai margini o ai confini del nostro mondo, dove sfruttamento, droga, violenza, degrado, disprezzo di sé e dell’altro nonché forme macilente d’esistenza o di sussistenza fanno da ingredienti a forme di vita che solitamente noi evitiamo e non vogliamo conoscere. Ce ne accorgiamo solo quando succedono tragedie come questa, ma per il resto e in generale non ci preoccupiamo. «Basta stare alla larga» è la nostra rassicurazione. Ma questo sottomondo non è confinato o recintato come un campo Rom di periferia, che pure a Milano non abbiamo esitato a incendiare. Questo sottomondo è in mezzo a noi. Lo incontriamo nella metropolitana, sui binari della stazione, nei sottopassaggi della città, nelle vie buie delle nostre periferie, che non assomigliano ancora alle banlieu di Parigi solo perché le nostre città sono più piccole, ma per la qualità degli episodi quasi ci siamo. Solo se eviteremo di semplificare i problemi con la formula magica «noi» e «loro», quando siamo proprio noi, come nel caso delle due prostitute rumene, a far uso e consumo di loro, non dico che eviteremo simili episodi, ma certamente li renderemo meno probabili ed eviteremo che una ragazza dalla faccia pulita, che una mattina andava al lavoro, non torni più a casa, solo perché è salita sulla vettura sbagliata della metropolitana.

Umberto Galimberti

Umberto Galimberti, nato a Monza nel 1942, è stato dal 1976 professore incaricato di Antropologia Culturale e dal 1983 professore associato di Filosofia della Storia. Dal 1999 è professore ordinario …

La cattura

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