Vittorio Zucconi: Armi da fuoco, la vittima zero

21 Giugno 2007
Dal buio di un altro "scontro di civiltà" combattuto cinque secoli or sono per imporre un dio migliore e un padrone lontano a chi non li aveva affatto richiesti, affiora un teschio trapassato da un proiettile per raccontarci la storia che l’Europa preferirebbe ignorare. Ha un forellino rotondo e nitido nella nuca, aperto da uno dei proiettili sparati dagli archibugi di Francisco Pizarro e dei suoi uomini per soggiogare definitivamente e sterminare gli ultimi insorti Inca assediati nella città che ora chiamiamo Lima, in Perù.
È il più antico indigeno ucciso da un’arma da fuoco europea mai ritrovato, nel Nuovo Mondo, nell’anno che i conquistatori, ma non i conquistati, contarono come il 1536 Anno Domini. E se gli archeologi hanno ragione, questo morto è il protomartire di una strage dei nativi che sarebbe andata avanti per altri 450 anni, fino alle ultime "guerre indiane" nelle grandi praterie del Nord America alla fine del XIX secolo. Il "milite ignoto" dei popoli amerindi.
Come tante scoperte archeologiche, anche questa della "vittima zero" dei "Conquistadores" è avvenuta un po’ per caso. Alla periferia di Lima, il governo stava aprendo cantieri per una strada e nel tracciato c’era un piccolo cimitero abbandonato nel villaggio di Puruchucu, distante appena un chilometro da una enorme e già studiata (e saccheggiata) necropoli Inca. Dalla terra smossa, affiorarono resti umani sparpagliati, ammucchiati in fretta come se chi li seppellì non avesse avuto il tempo di curarne l’addio secondo rituali e tradizione, segno di fretta e di terrore. Erano 72 teschi e scheletri di femmine, di vecchi, di bambini e neonati, pochissimi maschi giovani, massacrati con armi rozze, tra crani sfasciati, ossa frantumate, indizi di torture. Tutti, tranne uno, un maschio giovane, ventenne, che aveva avuto la misericordia di quel proiettile spiccio nella nuca. Dunque colpito alle spalle, da pochi passi, forse un’esecuzione.
Con i finanziamenti del governo e l’aiuto del National Geographic di Washington, il lavoro di Guillermo Cock dell’Istituto Peruviano di Cultura sul "milite zero" ha prodotto risultati emozionanti e un altro fiotto di revisionismo storico. Si sapeva con certezza che in quella terra attorno a Lima gli Inca sconfitti da Pizzarro e dai suoi due soci nella "Conquista", il prete Hernando de Luque e il soldato di ventura Diego de Almagro che si erano accordati per dividersi il futuro bottino, avevano tentato una sollevazione, un’ultima resistenza. La repressione dei conquistatori spagnoli, che ai 180 uomini iniziali sbarcati con un solo cannone avevano aggiunto bande di mercenari comperati sul posto e convinti a ribellarsi contro i potenti e odiati Inca, fu l’annientamento, un «Apocalypto» grandguignolesco e reale. Ma la leggenda del pugno di valorosi (e dunque superiori) europei che sconfissero le armate di 80 mila uomini schierati dagli Inca è smentita da quei cadaveri, che portano i segni di armi primitive, dunque sicuramente brandite dai mercenari di Pizarro.
Tutti maciullati, ma non lui, il proprietario del teschio trapanato da un proiettile che ha lasciato tracce microscopiche di piombo attorno alla perforazione. La battaglia di Lima era sempre stata raccontata nella agiografia e nella vulgata dei conquistatori, come il trionfo di un manipolo di europei, moralmente e tecnologicamente superiori, contro le orde pagane e zotiche, ma quel cimitero riesumato dalle ruspe dei cantieri stradali «racconta una verità molto diversa» dice Efraim Arestegui, professore di storia alla Pontificia Università Cattolica di Lima. «Un poco alla volta, una scoperta archeologica alla volta, si vede che la storia ufficiale è un tessuto di falsità e di invenzioni apologetiche e la resistenza degli Inca fu più lunga e coraggiosa, stroncata soltanto dalla brutalità e dall’arruolamento di bande locali».
Certamente, l’uomo dal foro in testa non fu il primo, nemmeno l’unico, a cadere sotto i proiettili degli archibugi di Pizzaro e dei suoi soci in affari, che utilizzarono gli Inca soggiogati e ridotti al 10 per cento della popolazione da epidemie e schiavitù nelle miniere d’argento, mentre il partner cappellano, Hernando de Luque, si autonominava primo vescovo di Lima. Ma le probabilità di ritrovare negli ossari di questo impero ancora sbalorditivo nelle meraviglie di città fantasma come Machu Pichu, morti con segni di arma da fuoco, che né gli Inca né i coloniali arruolati da Pizarro possedevano, sono incalcolabilmente minuscole.
Gli archeologi peruviani, che in quella zona aveva già riesumato più di due mila scheletri di nativi inumati correttamente, avevano inviato il teschio alla facoltà di medicina dell’Università del Connecticut, dove patologi e radiologi lo hanno studiato, esaminato con Tac, e sottoposto a tutte le indagini forensi nel miglior stile da telefilm americano "Csi". Sono arrivati alla conferma che quell’uomo era effettivamente stato ucciso da un proiettile di piombo, che i suoi resti datano cinque secoli e i denti, collocano la sua età attorno ai vent’anni. Segnalano un buono stato di salute e di forza, dunque fanno pensare a un guerriero, come erano tutti i giovani Inca, nel sistema di coscrizione obbligatoria.
Un soldato forse ucciso nel tentativo di proteggere e di coprire la fuga degli altri 71 vecchi, donne e bambini, inseguiti dai cacciatori spagnoli con lo schioppo e dai loro mazzieri. Un sacrificio inutile, in quell’agosto della soluzione finale Inca del 1536, ma prezioso, mezzo millennio più tardi, per emanare da quel forellino un piccolo raggio di luce nella spaventevole "ombra", come l’ha definita anche Benedetto XVI tornando dal Brasile, che avvolge la conquista europea e la conversione dell’America Latina.

Vittorio Zucconi

Vittorio Zucconi (1944-2019), giornalista e scrittore, è stato condirettore di repubblica.it e direttore di Radio Capital, dove ha condotto TG Zero. Dopo aver cominciato nel 1963 come cronista precario a …