Umberto Galimberti: Second Life. Quel sogno di un Altrove motore delle nostre vite

26 Giugno 2007
Sognare un’altra vita rispetto a quella che ci capita di vivere è, tra i sogni dell’uomo, quello più antico. Senza questo sogno forse non sarebbero nati i miti dove nelle vicende degli dèi ci si rappresenta la vita che si vorrebbe vivere, le religioni che promettono una vita eterna al di là di quella che trascorriamo sulla Terra, la letteratura dove storie fantastiche ci trasportano in mondi altri rispetto a quello in cui siamo costretti a vivere, la musica che ci porta fuori dallo spazio e dal tempo abituali per immergerci in assonanze e dissonanze sconosciute al nostro trascorrere quotidiano. Senza il sogno di un’altra vita non avremmo immaginato alcuna utopia dove possa aver luogo quello che al momento non ha luogo, alcuna rivoluzione che, rispetto all’esistente, promette ‟nuovi cieli e nuove terre” e, se non proprio, almeno altre condizioni di vita, alcun progresso scientifico promosso dal sogno di ridurre la fatica del lavoro e la crudeltà del dolore, quando non addirittura quello di procrastinare la morte. Senza il sogno di un’altra vita, davvero, ma proprio davvero, non riusciremmo a vivere. Tale è infatti la condizione umana, il suo tratto specifico, la sua peculiarità, la sua bellezza. Su questo sogno primordiale, in cui probabilmente è da rintracciare l’essenza dell’uomo, le religioni hanno costruito il concetto di "trascendenza", una sorta di oltrepassamento dell’esistenza, in vista di altri scenari possibili e futuri. Dal canto suo la psicoanalisi, sempre a partire da questo sogno, ha costruito il concetto di "inconscio", dove il desiderio di un altrove, rispetto alla monotonia del quotidiano, irrompe per creare scenari alternativi che, quando non si realizzano, diventano sofferenze nevrotiche. Quando il sogno di un’altra vita oltrepassa i limiti del desiderio e dell’immaginazione e più non si accontenta degli scenari dispiegati dai miti e dalle religioni, né di quelli più modesti dischiusi dalle visioni utopiche o dalle istanze rivoluzionarie, allora può accadere che ci si congedi dalla realtà per inoltrarsi in quei percorsi, ora bui ora folgoranti, che siamo soliti chiamare "follia". Un tentativo estremo per continuare a vivere quando la realtà non ci offre più le condizioni e, senza il sogno di un assoluto altrove, altro non ci resterebbe che il suicidio. Una realizzazione di questo bisogno tipico dell’uomo - che nasce in un mondo "dato" al solo scopo di ri-nascere in un mondo da lui "creato", perché solo nelle nostre creazioni reperiamo un senso che sia davvero "nostro" - oggi ce lo concede la frequentazione del virtuale, dove ciascuno di noi può identificarsi nel mito di se stesso, nella storia che vorrebbe e che non può vivere nella realtà, negli amori che gli sono impediti, in spazi che non ha mai frequentato, abitando case o castelli, spiagge o deserti che ha solo sognato, indossando abiti che non sono sul mercato, ma che ciascuno, vestendoli, sente di essere finalmente se stesso. Forse tante terapie psicoanalitiche potrebbero accorciare i loro tempi alla scoperta dell’inconscio, se ogni paziente portasse al suo analista un dischetto in cui descrive la sua "Second Life" e se l’analista avesse l’accortezza di non ricondurre subito l’immaginazione del paziente alla realtà. Perché senza sogni la vita è invivibile, e i sogni forse non vanno solo interpretati ma anche realizzati, a meno che non si voglia rinunciare totalmente al proprio sé profondo, dimenticando l’invito di Nietzsche: ‟Diventa ciò che sei”. Naturalmente più solerte e più attento degli psicoanalisti è il mercato che studia il "Second Life Style" per consentire ad architetti, designer e creatori di moda di alimentare la loro creatività consunta e in via di estinzione e di andare incontro ai desideri segreti, ma in Second Life manifesti, di personalità creative a cui il "sano realismo" che regola la nostra cultura non concede di esprimersi se non nel virtuale. Ma il virtuale anticipa il reale come l’alchimia ha anticipato la chimica, il sogno leonardesco di volare l’aeronautica, l’immaginazione atomistica di Democrito la fisica quantistica, la chimica l’interpretazione goethiana dell’amore a partire dalle "affinità elettive". A questo punto potremmo pensare che il reale è solo il residuato del virtuale, il passato dell’immaginazione, ciò che resiste all’ideazione e a quella proiezione futura senza la quale l’uomo sarebbe già scomparso in quella noia profonda e letale dove già stava scomparendo Dio, quando, come ci ricorda Kierkegaard, reagendo all’immenso vuoto che lo circondava, con un gesto di immaginazione, creò il mondo. Forse fu proprio ispirandosi a questo gesto che l’uomo divenne immagine e somiglianza di Dio. Ma la Second Life, oltre ad essere un inno alla magia del sogno, è anche un sintomo dell’intollerabilità della vita a cui siamo costretti. Una vita dove ciascuno di noi ha dimenticato il proprio nome perché è riconoscibile solo dalla sua funzione, a sua volta regolata dalle maglie strette e dalle regole ferree dell’apparato di appartenenza. C’è solo da augurarsi che la promessa di una seconda vita virtuale non rimanga solo un’evasione, ma diventi spunto per una progressiva modificazione del reale, senza che un’anticipata rassegnazione lasci tutto irrimediabilmente così com’è. Sarebbe la fine della vicenda umana in quel che ha di più creativo e ideativo.

Umberto Galimberti

Umberto Galimberti, nato a Monza nel 1942, è stato dal 1976 professore incaricato di Antropologia Culturale e dal 1983 professore associato di Filosofia della Storia. Dal 1999 è professore ordinario …