Michele Serra: Quando l’auto diventa un’arma

16 Luglio 2007
Il movimento febbrile del mondo ha un suo prezzo fisiologico: impossibile pensare a un rischio zero quando si parla di traffico, di viaggi, di miliardi di persone che si spostano a bordo di mezzi meccanici. Proprio per questo non riusciamo ad accettare i sovrapprezzi patologici. Quelli indotti dall’asocialità, dalla stoltezza, dall’aggressività. Chi guida ubriaco o drogato ha la vocazione dell’assassino. E le cronache di questi giorni, disseminate di morti sull’asfalto, sono cronache criminali.
Questa differenza – la differenza tra i cosiddetti "costi del progresso" e i costi dell’asocialità – balza agli occhi ove si confrontino gli enormi passi avanti delle automobili, in termini di sicurezza attiva e passiva, e la tragica irriformabilità dell’elemento umano. Su macchine super-testate, con air-bag e tutori elettronici, lamiere deformabili e scocche salva-vita, pneumatici dalla grip impeccabile, un guidatore scellerato basta ad azzerare ogni progresso tecnologico.
Evidentemente, non si è lavorato sull’elemento umano quanto si è lavorato sulle lamiere, sui freni, sugli asfalti drenanti. O forse – peggio – si è cercato di lavorare anche sull’elemento umano: ma la psicologia sociale è molto meno plasmabile di un’automobile. L’adrenalina è molto di moda. Sono in tanti, specie d’estate, specie di notte, specie ragazzi, quasi sempre maschi, a mettersi al volante come per uno spasmo dimostrativo. La guida diventa uno dei segmenti dello sballo, con la differenza che la pasticca o il beverone alcolico schiantano solo chi li ingurgita, ma se lo sballato è al volante schianta anche gli altri, gli anonimi e innocenti altri dei quali rimane, sul ciglio della strada, solo un patetico cippo di fiori secchi. Ce ne sono così tanti, in giro per l’Italia, da costituire un anonimo e disperso sacrario. Ognuno di noi conosce qualche vittima di questa guerra odiosa e scema, famiglie amputate di un figlio o di un genitore, buchi neri, squarci atroci nel mezzo di una vita quotidiana che si vorrebbe normale. Decine di migliaia di scomparsi, salutati sulla porta di casa e ritrovati all’obitorio: dire "capita" può anche servire da pallida consolazione, ma dire "è capitato per colpa di uno che guidava come un pazzo" no, non è neanche la parodia di una consolazione. Ci si sente vittime di un delitto, e un delitto non è un incidente, un delitto non è il Caso o il Destino, è violenza di uomini contro gli uomini.
Non si sa come fare breccia nella testa della folta, foltissima cosca di chi usa la macchina come un’arma. Ci prova (comincia a provarci) la scuola pubblica, vituperata ma almeno in questo presente e attiva. Ci provano le campagne sulla sicurezza, alcune anche efficaci, ci prova la legge con la patente a punti, i limiti di velocità, i (pochi) controlli consentiti da uno Stato per altro con il bilancio in rosso, e per giunta impopolare in un paese di furbetti, che nell’autovelox vedono un occhiuto repressore e non, come dovrebbero, un robot che vigila per conto di tutti.
Chi passa molte ore al volante è continuamente alle prese con i rischi aggiuntivi, quelli indotti dal menefreghismo e dalla violenza. I sorpassi a destra in autostrada, un tempo raro scandalo, ultimamente sono quasi la prassi. Gli abbaglianti di chi segue piantati nello specchietto retrovisore e poi a un metro dal paraurti posteriore, chiedendo strada con una prepotenza che in una normale coda alla posta sarebbe punita a furor di popolo da tutti i presenti, sono anch’essi pratica costante. Ma dietro gli occhiali neri del guidatore, spesso chiuso in un guscio costoso e luccicante, non leggi solo la fretta della giovinezza (o di una maturità imperfetta). Leggi anche una smania scomposta, un "fate largo" tracotante che è la traduzione sulla strada di una fregola sociale devastante, quasi angosciante, un’insofferenza delle regole, un bullismo di massa che ha i suoi bravi testimonial televisivi, i suoi eroi facili, i suoi profeti.
Poiché l’esacrazione o la paura non paiono placarli, e anzi sembrano attizzarli, bisognerebbe forse riformare ab ovo tutta la comunicazione sulla sicurezza, le varie campagne sociali e pubblicità progresso. Non dire più "sei un criminale", status che magari eccita la vanità di persone del tutto sprovviste di etica. Dire, piuttosto, "sei un povero imbecille", "sei un frustrato, un fallito", facendo leva sull’unico sentimento che pare ancora in grado di incutere soggezione all’esercito di violenti, che è il sentimento dell’inferiorità.
Naturalmente punire di brutto chi viene beccato, ma nel frattempo deridere e svilire la miserabile estetica del gaglioffo al volante, il vitalismo da strapazzo, il gusto vigliacco di far pagare agli altri il proprio brividino di un minuto, di una curva. E come sui pacchetti di sigarette, piazzare sulle nostre amatissime automobili la scritta "questo veicolo può ucciderti, e quel che è peggio può uccidere gli altri". Che all’autolavaggio, quando si è tutti fieri della carrozzeria che brilla, si legga bene, si legga meglio.

Michele Serra

Michele Serra Errante è nato a Roma nel 1954 ed è cresciuto a Milano. Ha cominciato a scrivere a vent’anni e non ha mai fatto altro per guadagnarsi da vivere. …