Michele Serra: Se ritorna il fantasma del complotto anticlericale

27 Agosto 2007
È fortemente probabile che don Pierino Gelmini sia vittima del malanimo di alcuni suoi discepoli frustrati e vendicativi. Malanimo maturato in quel faticoso viluppo di sentimenti, di dipendenza e di potere che è tipico delle comunità di recupero fondate sul carisma assoluto del Capo e del Padre. Già Vincenzo Muccioli, soccorrevole despota di San Patrignano, si trovò impigliato in quello stesso viluppo di carne e di sangue, con accuse anche più pesanti (omicidio). E ne uscì salvo. È fortemente probabile, dunque, che don Pierino possa uscire indenne da ogni accusa. Che sia innocente per la legge degli uomini. Ma diventa molto difficile, e perfino illogico, sentirsi solidali con un uomo "che porta la Croce" (sono parole sue), se la sua autodifesa passa per il vero e proprio delirio dietrologico (e ahimè razzista) sfuggitogli di bocca. Passi per la denuncia di un "complotto politico" nei suoi confronti: è oramai un riflesso pavloviano, un ritornello rituale, acqua fresca da quando l’intera frittata giudiziaria italiana è stata rivoltata da Silvio Berlusconi e dal suo ricco apparato di avvocati, ideologi e adepti a vario titolo. Ma le dichiarazioni sulla "lobby ebraica" che lo odia (poi smentita il giorno dopo secondo un’abitudine ben nota), sulla congiura dei "radical-chic", sui "giudici mascalzoni" che sarebbero il braccio armato di una lobby anticlericale mondiale, segnano una specie di punto apicale del lungo delirio anti-legalitario e sedizioso che ormai da parecchi anni rischia di rendere impraticabile, in questo Paese, perfino il sano esercizio della solidarietà per un imputato presunto innocente. Di "lobby ebraiche" che manovrano la magistratura italiana, francamente, non era ancora pervenuta notizia. Né nelle passate disavventure giudiziarie del don Gelmini prima maniera (imputato per truffa, assegni a vuoto, bancarotta fraudolenta, e diffidato dalla sua stessa Chiesa, non certo dalle sinagoghe), risulta manifestarsi l’ombra infida di una discriminazione anti-cattolica. Bisognerebbe, dunque, che le persone che consigliano don Gelmini, e lo assistono anche legalmente in questa dura prova, lo aiutassero a ritrovare misura e buon senso, perché un conto è rivendicare la propria innocenza (specie se il contesto sembra suggerire l’ipotesi della vendetta postuma di pecorelle molto smarrite), un altro conto è sparare a zero contro il già corpulento fantasma della "lobby ebraico-radical-chic", uno spauracchio gonfio di paranoia e di pregiudizio. A sentir ragionare certi innocenti odierni viene una paradossale nostalgia del caso Tortora, quando un innocente coraggioso e combattivo (un innocente d’altri tempi, verrebbe da dire) seppe difendersi mettendo a nudo l’insipienza e la sciatteria deplorevole dei suoi giudici senza mai alimentare a sua volta pregiudizi "politici": politica, per Tortora, voleva dire fare giustizia, illuminare la verità, non occultarla nelle vaghe nebbie del sospetto. Fare luce, non agitare ombre. Giorni fa, nel ricostruire (molto tendenziosamente) le spinose vicende del rapporto tra politica e giustizia, Angelo Panebianco ha rispolverato, sul "Corriere", la tesi di un "partito dei giudici" sfuggito di mano, come il mostro di Frankenstein, alla sinistra sua creatrice. Punto e basta. Rubando il lavoro al "Corriere", e dunque esercitando un po’di sano terzismo (visto che i terzisti non lo fanno), va aggiunto che se esiste un partito dei giudici esiste anche un cospicuo e agguerritissimo contro-partito degli imputati, i cui potenti agganci politici e mediatici non costituiscono certo una lobby o una setta, né muovono da una "congiura internazionale", come direbbe don Pierino. Ma che è riuscito a imporre, in molti e disparati settori di questo Paese, una vulgata antigiudiziaria che è almeno tanto facilona, tanto faziosa, tanto ideologica quanto il famoso "giustizialismo". Dal fotografo Corona a molti inquisiti eccellenti, fino a quest’ultima imbarazzante sparata di Gelmini contro la lobby ebraica che lo vuole incastrare, oramai non c’è imputato che non legga nell’azione della magistratura come minimo un’inimicizia personale, come massimo una trama perversa di imprecisati e misteriosi "poteri forti". A imperitura memoria di questo progressivo slittamento nella delegittimazione della legge e delle leggi, è perfino spassoso ricordare l’indimenticabile sortita dell’avvocato Taormina, nei giorni di Cogne, contro i "periti comunisti". In attesa che qualcuno, per difendere don Gelmini, tiri in ballo le malefatte dei periti ebrei, o degli uscieri di tribunale atei, viene spontaneo accostare la linea difensiva di molti imputati di grido, specie se ben piazzati socialmente, a quella degli anarco-insurrezionalisti: l’esercizio della legge diventa solo l’esercizio di un arbitrio di classe. Non il travagliato rapporto tra uno Stato e i suoi cittadini, ma la mano pesante delle multinazionali oppure della plutocrazia ebraica avrebbe in mano le chiavi delle galere. I rivoluzionari e i reazionari sono, almeno in questo, affratellati. I primi con prevalente ingenuità, ma i secondi?

Michele Serra

Michele Serra Errante è nato a Roma nel 1954 ed è cresciuto a Milano. Ha cominciato a scrivere a vent’anni e non ha mai fatto altro per guadagnarsi da vivere. …