Michele Serra: Valentino Rossi e le tasse non pagate. La partita persa di un vincitore

27 Agosto 2007
C’è un dispiacere speciale nell’apprendere che Valentino Rossi è accusato di avere sottratto al fisco italiano (cioè alla comunità dei suoi tifosi, tra i quali noi) sessanta milioni di euro. È il dispiacere di scoprire che anche un ragazzo giovane, fortunato, geniale nel suo campo, il più fresco e irrituale tra i personaggi emersi negli ultimi anni, è invischiato nella solita, vecchia, insopportabile melma che rende invivibile questo Paese. Come se niente di davvero "nuovo" potesse mai capitare, dalle nostre parti. Ora qualcuno dirà che una star internazionale impara presto a conoscere misure diverse, rispetto a quelle di un normale professionista o impiegato o operaio. Che il suo approdo naturale è il mondo (Valentino ha preso residenza a Londra: almeno un po’più fantasioso dei tanti milionari nostrani rifugiati "politici" a Montecarlo), che è umano scegliersi l’approdo fiscale più vantaggioso, che spesso quando si è in orbita ci si dimentica di controllare quello che succede a terra, e via spiegando e giustificando. Ma specialmente in questi ultimi anni, con mezzo paese che sgobba per pagare fino all’ultimo euro quelle tasse che un altro mezzo paese rifiuta di pagare, non c’è pretesto o scusa o arzigogolo che tenga: se davvero il giovane Rossi di Tavullia, o perché mal consigliato o perché furbo in proprio, ha ingannato il fisco italiano, la sua immagine (almeno agli occhi di mezza Italia) ne esce offuscata in modo irreparabile. L’altra mezza, magari, aggiungerà all’ammirazione per il campione spavaldo anche la complice simpatia per il businessman disinvolto, perché niente eccita gli umori più bassi di questo paese quanto uno che "sa fare bene gli affari propri". Ma Valentino Rossi, se le pesantissime accuse del fisco saranno confermate, gli affari propri li ha fatti malissimo. E’uno che ha il mondo in mano, padrone della sua vita e del suo talento, ricco, vincitore, seducente, ammirevole (e modernissimo) nel giocare con la macchina mediatica con leggera nonchalance. Possibile che non gli sia venuto in mente che la sua esemplarità (e i suoi meritati privilegi, e il suo primato di popolarità) avrebbero avuto una marcia in più, quella definitiva, quella che è mancata a tante star prima di lui, se avesse fatto fino in fondo il suo dovere fiscale, scegliendo quello stesso normale rapporto con lo Stato e con la comunità che tocca in sorte a milioni di italiani con redditi infinitamente più bassi del suo? La ricchezza non è un demerito, è una benedizione del Fato, una porta che si apre a chi ha saputo bussare meglio. Ma nella stragrande maggioranza dei paesi moderni e benestanti, a questo merito si fa corrispondere l’orgoglio di pagare le tasse, di pagare le scuole, le strade, gli ospedali a chi ha avuto minore fortuna e minori capacità. Altrimenti: a cosa serve diventare ricchi? A vantarsi con gli amici del bar? Non è un po’poco, a fronte della grande libertà e della grande responsabilità che comporta disporre di tanti soldi quanti ne bastano a vivere cento vite consecutive? Solo da noi è ancora diffusa l’idea meschina, penosamente arretrata, che far pagare più tasse ai ricchi sia "demagogia", o "invidia sociale", o una perversa forma di rivalsa dei mediocri. E che cercare qualunque sotterfugio o espediente per non pagarle sia "legittima difesa". E’un discorso che può avere qualche minima congruenza se l’evasore è una persona che fatica a tirare avanti. Ma le grandi quantità di denaro non consentono questo genere di alibi. Da una certa soglia in su, non si tratta più di scegliere tra uno stile di vita sontuoso e uno stile di ristrettezze. Si tratta di scegliere tra uno stile di vita sontuoso e legale, e uno stile di vita sontuoso e illegale. E non è più la necessità, in quei casi, ma un’ingordigia puramente "simbolica" a far scattare il meccanismo dell’evasione: denaro che vuole altro denaro. Ora non resta che sperare che Valentino Rossi spieghi di essere stato male indirizzato da qualche collaboratore, essendo il fisco (per tutti, non solo per lui) un circuito dalle curve molto infide. E che sia in grado di riparare saldando i conti con il suo Paese: sarebbe paradossale se proprio un super-italiano come lui, che sventola il tricolore sui circuiti dell’intero pianeta, che è diventato famoso per l’estro e lo spirito da commediante, che è simbolo della provincia talentuosa e spaccona, non si mettesse al più presto in regola anche con l’Italia delle leggi. Spiace, in sede di commento, non poter dire altro che non sia risolutamente e perfino banalmente severo: le tasse si devono pagare, e più si è famosi e fortunati, più si è facoltosi e ammirati, più aumenta la propria responsabilità di fronte agli altri. Valentino, se ci pensa bene, questo lo sa.

Michele Serra

Michele Serra Errante è nato a Roma nel 1954 ed è cresciuto a Milano. Ha cominciato a scrivere a vent’anni e non ha mai fatto altro per guadagnarsi da vivere. …

La cattura

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di Salvo Palazzolo, Maurizio de Lucia