Umberto Galimberti: Una violenza che nasce da un vuoto culturale

17 Settembre 2007
Se il buon giorno si vede dal mattino non è un buon mattino quello che inaugura l’anno scolastico con l’incendio di una scuola, come è accaduto questa notte in via Andrea Cisalpino a Milano. Naturalmente nessuna rivendicazione, perché la violenza fine a se stessa è codarda. Finito il rito della distruzione tutti spariscono. Se rintracciati si sentono innocenti, semplicemente perché non sono in grado di fornire uno straccio di giustificazione ai loro gesti. L’ignoranza e l’ottusità che li caratterizza sono, ai loro occhi, un’attenuante. L’analfabetismo mentale, verbale ed emotivo con cui rispondono a chi li interroga sono per loro una giustificazione. La loro violenza è cieca perché è assurda, ed assurda perché non è neppure un mezzo per raggiungere uno scopo. è puro scatenamento di forza che non si sa come impiegare, e perciò si sfoga nell’anonimato, senza considerazione e senza calcolo delle conseguenze. La mancanza di scopi rende la violenza infondata, e quindi assoluta. Pura e sfrenata distruttività, che sembra l’unica cosa di cui questi ragazzi dispongono per sentirsi vivi. La ragione va cercata nel fatto che viviamo in un epoca in cui i giovani non si sentono mai sufficientemente se stessi, mai sufficientemente attivi, se non quando superano se stessi, senza essere mai se stessi, con conseguente inaridimento della vita interiore, desertificazione della vita emozionale, insubordinazione alle norme sociali. Tutti questi sintomi sono inscrivibili, come scrive il filosofo francese Miguel Benasayag: "nell’oscurarsi del futuro come promessa e nell’affacciarsi di un futuro come minaccia". La mancanza di un futuro come promessa arresta il desiderio nell’assoluto presente. Meglio star bene e gratificarsi oggi se il domani è senza prospettiva. O come scrive il sociologo tedesco Falko Brask: "Meglio esagitati ma attivi che sprofondati in un mare di tristezza meditativa, perché se la vita è solo uno stupido scherzo, dovremmo almeno poterci ridere sopra". Solo con gli amici della banda oggi molti dei nostri ragazzi hanno l’impressione di poter dire davvero "noi", e di riconfermarlo in quelle pratiche di bullismo che sempre più caratterizzano i loro comportamenti nella scuola, negli stadi, all’uscita delle discoteche, dove un’emotività carica e sovreccitata li sposta dove vuole a loro stessa insaputa, senza che un briciolo di riflessione, a cui non sono stati educati, sia in grado di raffreddare l’emozione. L’eccesso emozionale e la mancanza del raffreddamento riflessivo portano molti dei nostri giovani a oscillare tra lo "stordimento dell’apparato emotivo", attraverso quelle pratiche rituali che sono le notti in discoteca o i percorsi della droga, o il "disinteresse per tutto", messo in atto per assopire le emozioni attraverso i percorsi dell’ignavia e della non partecipazione che conducono all’atteggiamento opaco dell’indifferenza. Se il disagio non è "esistenziale", ma "culturale" come sembra, non ci sono rimedi a portata di mano, se non una ripresa delle discipline, a partire dalla prima elementare, che la nostra cultura sembra aver abbandonato a favore di un permissivismo che non dà né gioia né felicità.

Umberto Galimberti

Umberto Galimberti, nato a Monza nel 1942, è stato dal 1976 professore incaricato di Antropologia Culturale e dal 1983 professore associato di Filosofia della Storia. Dal 1999 è professore ordinario …