Io, Amos Oz il mediatore. Un colloquio

08 Ottobre 2007
‟La mia vita è stata segnata da un libro per bambini, che a voi italiani non dirà nulla perché fa parte della nostra tradizione. Il protagonista era un orso che veniva ripagato col miele per le storie che raccontava. Anch’io ho cominciato a scrivere storie per avere il miele in cambio”. Amos Oz è a Cosenza per ritirare un premio istituito in Calabria e Basilicata dalla Fondazione Carical e dal Grinzane Cavour. Felice di essere per la prima volta nella Magna Grecia, il celebre scrittore israeliano accetta di parlare della sua esperienza di romanziere. ‟Appena finito il pranzo”, dice ‟dirò cose che solo dopo un buon bicchiere di rosso si possono dire: in vino veritas”. E Oz mantiene la promessa, ripercorrendo a ritroso i suoi precoci incontri con la letteratura, in una famiglia composta da intellettuali. ‟Devo a mia madre”, confessa con tenerezza, ‟la passione per i racconti. A due o tre anni mi raccontava favole che attiravano tantissimo la mia attenzione. Solo da grande ho capito che si trattava di storie completamente inventate da lei”. Il tono della voce e l’espressione del volto testimoniano che persiste in lui il fascino della figura materna. A questo rapporto, forse, si deve la presenza di tanti personaggi femminili nei romanzi di Oz. ‟Mia madre si tolse la vita quando avevo dodici anni. E questo tragico evento ha scatenato la mia curiosità per l’universo femminile. Giovanissimo, avevo ventiquattro anni, scrissi un romanzo, intitolato Michael mio. Qui è proprio una donna a parlare in prima persona. A quell’età ero veramente convinto di aver capito tutto delle donne. Oggi non oserei mai scrivere un romanzo la cui voce narrante è quella di una donna. Con il passare del tempo ho imparato che ciò che so delle donne è poco in rapporto a ciò che dovrei veramente sapere”. Ma la prudenza dello scrittore israeliano non sminuisce la sua costante attenzione per i personaggi femminili. ‟Ho ricevuto molti messaggi. Alcune lettrici mi hanno chiesto come avessi fatto a scrivere quelle pagine così capaci di esprimere il punto di vista di una donna. Altre, al contrario, mi hanno esplicitamente accusato di non capire le cose di base del mondo femminile. Quale dei due partiti ha ragione? Non sono sicuro di riuscire a decifrare realmente ciò che sono i personaggi femminili dei miei romanzi. Però, posso confessarle che darei molto della mia vita se riuscissi ad essere, soltanto per un breve momento, una donna”. Amos Oz parla con passione del suo vivo interesse per le vicende private, per le storie che raccontano gli incontri e gli scontri intimi tra gli esseri umani. ‟Nei miei romanzi descrivo soprattutto le vite di singole persone. Mi piace costruire storie in cui i rapporti familiari o i rapporti tra amici siano al centro dell’attenzione”. Si può notare tuttavia che spesso nelle sue opere le relazioni tra individui finiscono anche per parlarci delle relazioni tra culture o popoli diversi. ‟Rivelerò un segreto. In realtà, non parlo mai di popoli ma solo di singoli esseri umani. Frequentemente, però, mi capita di rileggere ciò che ho scritto. E solo a posteriori mi rendo conto che descrivendo quel particolare personaggio ho finito per descrivere anche una famiglia, un intero quartiere, una determinata situazione storica. Ma questa dilatazione degli orizzonti è spontanea, non è mai frutto di una pianificazione”. Il tema della ‟mediazione” rappresenta un esempio eloquente di come la dimensione privata possa essere un laboratorio per meglio capire il macrocosmo della realtà politica. ‟Credo profondamente nella mediazione, non tanto per un approccio di tipo politico. È la mia esperienza privata che mi ha fatto capire che senza mediazione è difficile concepire un rapporto tra un padre e un figlio, tra un marito e una moglie, tra un fratello e una sorella, tra individui in generale. Bisogna partire dal fatto che gli esseri umani sono molto diversi tra loro, e senza mediazioni non è facile trovare un punto di incontro”. Amos Oz sa bene che sul piano politico la sua posizione - ‟senza una mediazione sarà difficile che israeliani e palestinesi possano vivere assieme nella pace, mettendo fine a un conflitto che ha provocato morte e dolore” - trova sacche di resistenza. ‟Purtroppo i giovani, che sono più idealisti, non amano la mediazione”, commenta. ‟La considerano un meccanismo disonesto, opportunistico: una mancanza di integrità. Invece per me la mediazione è coesistenza, è la capacità di vivere assieme. E questo vale per due individui, come per due popoli. Molte persone pensano che il contrario della mediazione sia l’integrità. Invece per me il contrario della mediazione è il fanatismo e, quindi, la morte”. Adesso la conversazione scivola inevitabilmente sul campo minato dei fondamentalismi. E qui Oz, cosciente del pericolo che l’umanità sta correndo, esprime con fermezza il suo punto di vista. ‟Il fanatico è un punto esclamativo che cammina. Non ha una vita privata. Appare come un altruista, visto che si interessa soprattutto agli altri. Ma non lo fa per capire l’altro, lo fa solo per costringere l’altro a essere ciò che lui pensa sia giusto essere. Per costoro, nessuna forma di mediazione è possibile”. Qualsiasi fanatico pensa sempre di possedere la verità assoluta da imporre agli altri per il loro bene? ‟Proprio così. Ma anch’io ho una verità assoluta. Sono convinto che sia sempre un male infliggere dolore a qualcuno. Se dovessi sintetizzare tutti e dieci i comandamenti in un unico comandamento, in assoluto direi: non infliggere dolore a nessuno. Questo è il punto fermo della filosofia della mia vita. Il resto è relativo”. Proprio a partire da questi presupposti, non sono mancati intellettuali ebrei che hanno giudicato negativamente alcune azioni di forza di Israele. Leggo ad Amos Oz una bella pagina di George Steiner contro la tortura. ‟Da oltre quarant’anni critico la politica dei governi di Israele. Nel 1967 il Paese è stata attaccato da una coalizione araba. Vinse la guerra. Occupò i territori. E poi si innamorò di questi territori. Questo è il peccato originale di Israele. Ma le critiche sono giuste quando gli stessi standard applicati ad Israele vengono anche applicati agli altri Paesi. Non si può pensare che Israele diventi il Gesù Cristo delle nazioni: questo mi sembra un approccio poco realistico”. Ritorniamo, nelle battute finali, al romanzo e alla sua capacità, in alcuni casi, di raccontare meglio di un libro di storia gli eventi di un popolo. ‟Penso a Tomasi di Lampedusa, al suo Gattopardo. Grazie a lui ho capito la storia della Sicilia attraverso vicende private. Lo stesso discorso potrebbe valere per La Storia di Elsa Morante...”. Ma conclude mettendo sull’avviso: ‟Se si scrive letteratura per cambiare le cose, non si otterrà nessun risultato. Solo i romanzi che non sono concepiti con l’intento di cambiare le cose, talvolta, vi riescono profondamente”.

Amos Oz

Amos Oz (1939-2018), scrittore israeliano, tra le voci più importanti della letteratura mondiale, ha scritto romanzi, saggi e libri per bambini e ha insegnato Letteratura all’Università Ben Gurion del Negev. …