Umberto Galimberti: Anoressia. Quei corpi affamati accusano la famiglia e la società

02 Ottobre 2007
Ancora una volta i cittadini di Milano e la giunta comunale che li governa si spaccano non sul problema, ma sull’opportunità di un cartello pubblicitario che solleva il problema. E siccome il problema, che in questo caso si chiama anoressia, è molto grave, sarebbe opportuno che la giunta si occupasse di questa terribile malattia che in Italia riguarda cinquemila ragazzine ogni anno, e non del manifesto per stabilire se incoraggia o scoraggia questo comportamento alimentare. E non se toglierlo dalla circolazione sia un problema o meno di censura. E non se l’arte deve spaventare come i quadri di Bosch o di Goya, come sostiene il fotografo dell’anoressica pubblicizzata. Proprio ieri ho dato un passaggio, su un taxi che avevo chiamato, a una signora ansiosa e piena di fretta e alla sua bambina che avrà avuto cinque o sei anni, dal momento che andavamo nella stessa direzione. La taxista, s’è permessa di dire alla signora: ‟Com’è magra la sua bambina” che si appoggiava esausta al braccio della madre. La risposta fu: ‟Come, magra? Sono appena uscita da un’agenzia di produzione che ha giudicato la mia bambina troppo grassa per la pubblicità. Ma adesso corra dall’altra parte della città perché ho un appuntamento con un’altra agenzia. Vero Sara?”. Io e la taxista non aprimmo più bocca. Qualsiasi cosa avessimo detto non avremmo distolto quella madre dai suoi intenti. Certo la pubblicità non aiuta. La moda neanche. I giornali femminili non si trattengono dall’esporre foto di fanciulle esangui e di corredare le pagine con servizi che illustrano i progressi della chirurgia estetica, gli esercizi da praticare in palestre, le diete da seguire. Ma il problema non è qui. Perché il rifiuto del cibo non è la malattia, ma il sintomo finale di una malattia il cui esordio risale a anni prima, quando la ragazza (ma ormai si registrano anche diversi casi di ragazzi) s’è trovata nel bel mezzo di una rete di relazioni familiari sbagliate, in cui non riusciva a capire chi era e che cosa ci faceva lì. Come quella bambina denutrita non capiva cosa ci faceva in quel taxi che abbiamo preso insieme. Per questo l’anoressia si chiama "mentale", anche se il sintomo finale è terribilmente "fisico". E impressiona e angoscia quei genitori che solo alla fine capiscono che la ragazzina che hanno cresciuto, un po’distrattamente e un po’ossessivamente, non sta facendo i "capricci" di fronte a un grissino o a uno specchio, ma sta cercando disperatamente un’immagine di sé che dai genitori non ha ricevuto, soprattutto per la relazione sbagliata e ormai deragliante con mamma e papà. La moda, la pubblicità, le riviste femminili, vengono dopo, molto dopo, a danno già avvenuto per la modificazione mentale dello schema corporeo. E allora se non vogliamo prendere i problemi dalla coda, ma affrontarli alla radice, spostiamo l’attenzione dai manifesti alla qualità delle relazioni che caratterizzano le nostre famiglie, dove la comunicazione, il rispetto vicendevole, la veicolazione degli affetti, il reciproco riconoscimento languono esangui, non meno esangui dei corpi di queste povere ragazze che nella famiglia non sono riuscite a trovare né a costruire un’accettabile immagine di sé.

Umberto Galimberti

Umberto Galimberti, nato a Monza nel 1942, è stato dal 1976 professore incaricato di Antropologia Culturale e dal 1983 professore associato di Filosofia della Storia. Dal 1999 è professore ordinario …