Umberto Galimberti: Bamboccioni. Quei giovani che vivono nella bolla familiare

09 Ottobre 2007
Non mi pare inopportuna la definizione di "bamboccioni" formulata da Padoa-Schioppa a proposito del 52 per cento delle donne e del 70 per cento degli uomini che a trent’anni vivono ancora con i genitori. E tutte le reazioni suscitate danno l’impressione di voler blandire ancora una volta i giovani, invece di sollecitarli a uscire da questa loro infanzia prolungata. Ma, al di là delle polemiche, forse è bene vedere da vicino i fattori che determinano questa ‟bolla familiare” che sembra arrestare quello che la storia ha sempre conosciuto come ‟passaggio generazionale”.
1. Innanzitutto perché chiamare ‟giovani” uomini e donne di trent’anni? Perché la vita si è allungata, si è soliti rispondere. Non è vero. Si è allungata la vecchiaia, dal momento che a sessant’anni si è più o meno tutti in pensione. Ed è già una sproporzione trent’anni per crescere e trent’anni per essere soggetti attivi.
2. La società si è fatta complessa e affollata, e perciò ha adottato come strumento di selezione il prolungamento dei processi formativi, per cui le funzioni che un tempo svolgeva un geometra o un ragioniere a diciotto anni oggi sono espletate da chi ha conseguito una laurea o addirittura un master in architettura o un economia a ventotto anni.
3. Questo prolungamento di dieci anni, oggi richiesto per raggiungere livelli di competenza, trattiene in famiglia, per un decennio in più, i figli, che così erodono la ricchezza accumulata dai genitori, peraltro beneficiari di uno stato sociale che i figli già oggi sanno di non poter godere. Per effetto di questa erosione i figli dei figli non potranno fruire della ricchezza dei padri e lo spettro della penuria si fa incombente per le generazioni future, per cui si mettono al mondo meno figli, non solo per le difficoltà economiche di crescerli e per la carenza di strutture educative e assistenziali.
4. È caduto il tabù della sessualità che, culturalmente, era il primo motore del congedo dei figli dalla famiglia d’origine. Oggi a partire dai sedici anni i ragazzi possono fare l’amore nella loro stanzetta con genitori, se non consenzienti, senz’altro permissivi, per cui il bisogno di uscire di casa si attenua, perché già in casa si dispone di quel che un tempo era consentito solo fuori casa. Niente di male, per carità, ma è un fatto.
5. La famiglia è diventata un raduno di mondi separati dove, se non ci sono particolari conflitti, ciascuno conduce la sua vita nel reciproco rispetto, ma soprattutto senza interferenze. I legami affettivi, dati per acquisiti, non si alimentano. E se si cena insieme lo si fa davanti alla televisione. Si sviluppa così un concetto di libertà come ‟indipendenza” da chiunque altro, con in comune solo la fruizione dei servizi materiali. Per cui chi resta in famiglia avverte sempre meno il peso dei legami parentali un tempo decisamente più vincolanti di oggi.
6. Questo essere insieme tutelati dall’assoluta libertà individuale sviluppa un concetto di libertà come assoluta revocabilità di tutte le scelte, che non implicano più impegni e conseguenze perché tutto, dalla scelta di un amico a quella di un amante, dalla scelta di una gravidanza o di una carriera, può essere suscettibile di una cancellazione immediata, non appena si offrono opportunità all’apparenza più gratificanti. Se la famiglia d’origine garantisce che ogni scelta non implica effetti irrevocabili, non muta il corso delle cose, non avvia una catena di eventi che può anche risultare irrevocabile, perché abbandonarla?
7. Ne Il disagio della civiltà Freud osserva che nel processo di civilizzazione l’umanità ha dovuto sacrificare una parte di libertà e felicità individuale per garantirsi un po’ di sicurezza. A questo sacrificio non sono chiamati i ‟bamboccioni” a cui ha fatto riferimento Padoa-Schioppa, perché nella famiglia d’origine la sicurezza è maggiore di quella che ci si potrebbe garantire uscendo di casa e, dopo quanto abbiamo detto, anche la libertà non è in alcun modo limitata. Sicurezza e libertà non confliggono più, non esigono alcun sacrificio e, stante la libertà sessuale consentita, anche la felicità non soffre di particolari limitazioni. Resta un solo inconveniente: che là dove la libertà non è più la scelta di una linea d’azione che porta all’individuazione, ma la scelta di tenersi aperta la libertà di scegliere non si costruisce alcuna biografia, ma si rimane in quello stato infantile (i ‟bamboccioni”) dove tutto è possibile perché nulla è ancora ben definito. E questo a trent’anni, quando la vita ha già lasciato alle sue spalle più di un terzo del proprio percorso.
8. A parziale giustificazione di questa tendenza di massa a restare nella famiglia d’origine è che, come fa notare Miguel Benasayag ne L’epoca delle passioni tristi il futuro ha cambiato segno, e da ‟futuro promessa” è diventato ‟futuro minaccia”. E siccome la psiche è sana quando è aperta al futuro, quando il futuro chiude le sue porte o, se le apre, è solo per offrirsi come incertezza, precarietà, insicurezza, dove trovare il coraggio e la voglia di abbandonare un porto sicuro? In questo scenario resta aperta una sola domanda: quali saranno tra non molto le conseguenze sociali dell’implosione della forza di inserimento e di coraggio tipica dell’età giovanile?

Umberto Galimberti

Umberto Galimberti, nato a Monza nel 1942, è stato dal 1976 professore incaricato di Antropologia Culturale e dal 1983 professore associato di Filosofia della Storia. Dal 1999 è professore ordinario …