Doris Lessing: Zimbabwe, la terra di Mugabe dove si lotta per un libro

09 Dicembre 2007
Zimbabwe nordoccidentale, primi anni 80. Sono in visita a un amico che un tempo insegnava a Londra. È qui per "aiutare l'Africa", come diciamo tra di noi. Ha un animo idealista e quel che ha trovato in questa scuola lo ha fatto cadere in una depressione dalla quale è uscito a fatica. Questa scuola assomiglia a tutte quelle costruite dopo l'Indipendenza.
Quattro ampie stanze di mattoni, una accanto all'altra, tirate su direttamente sulla polvere, con una stanzetta in fondo che sarebbe la biblioteca. Nelle aule ci sono lavagne, ma il mio amico tiene i gessetti in tasca perché altrimenti li ruberebbero. Non ci sono cartine geografiche né mappamondi, né libri di testo né quaderni o penne. Nella biblioteca non ci sono libri che possano interessare ai ragazzi, solo tomi provenienti dalle Università americane, scartati dalle biblioteche dei bianchi. C'è una capra che cerca nutrimento tra l'erba. Il preside si è intascato i fondi ed è stato sospeso.
Il mio amico non ha denaro perché quando riceve la paga, tutti gli chiedono un prestito e probabilmente non gli restituiranno mai il dovuto. I ragazzi hanno tra i 6 e i 26 anni, perché alcuni non sono andati a scuola prima e sono qui per rimediare. Ci sono studenti che ogni mattina, piova o splenda il sole, percorrono miglia a piedi e attraversano fiumi. Non possono fare i compiti perché nei villaggi non c'è elettricità e non è facile studiare alla luce di un ceppo che brucia.
Quando tornano a casa e prima di andare a scuola, le ragazze devono andare a prendere l'acqua e cucinare. Mentre sto con il mio amico, la gente arriva e tutti, tutti, implorano che gli vengano dati dei libri: "Ci insegnano a leggere, ma non abbiamo libri". L'ultimo giorno hanno ucciso la capra. La tanto attesa festa di fine semestre era questa: capra bollita e porridge. Non credo che molti studenti di questa scuola riceveranno premi.
Il giorno dopo mi trovo in una scuola di North London. Begli edifici e giardini. In mente ho ancora la scuola che sorge tra la polvere, nel nordovest dello Zimbabwe. Guardo questi volti vagamente incuriositi e cerco di raccontare loro ciò che ho visto la settimana prima. Aule senza libri, nemmeno una cartina appesa al muro. Una scuola dove gli insegnanti supplicano che gli si mandino libri. Chi mi ascolta non è in grado di capire: non ha immagini da associare a quanto sto raccontando, in questo caso, di una scuola immersa in una nuvola di polvere, dove l'acqua scarseggia e dove la festa a fine semestre è una capra appena uccisa e cotta in un pentolone. È davvero così impossibile per loro immaginare una tale misera povertà? Sono piuttosto sicura che qualcuno tra loro vincerà dei premi.
Resto con gli insegnanti e, come sempre, chiedo come sia la biblioteca e se i ragazzi leggano. E qui, in questa scuola per privilegiati, mi sento dire ciò che sento dire ogni volta nelle scuole e persino nelle università: "Sa com'è. Molti ragazzi non hanno mai letto e la libreria è poco frequentata". "Sa com'è". Sì, lo sappiamo com'è. Lo sappiamo tutti. Abbiamo assistito ad un'invenzione straordinaria: computer, internet e tv. Una rivoluzione che ha irretito un'intera generazione con le sue inanità.
Ma non ci siamo solo noi al mondo. Non molto tempo fa un'amica mi ha chiamato, dicendomi di essere stata in Zimbabwe, in un villaggio dove la gente non mangiava da tre giorni, ma parlava molto di libri, di come ottenerli e di istruzione. Io faccio parte di una piccola organizzazione nata per far giungere libri ai villaggi, ma tenete a mente che un libro in edizione economica proveniente dall'Inghilterra in Zimbabwe costa quanto la paga di un mese: questo prima del regno del terrore di Mugabe. Adesso, con l'inflazione, costerebbe l'equivalente di diversi anni di paga.
Ma quando si portano libri in un villaggio - e ricordatevi che c'è scarsità di benzina - vengono accolti con le lacrime. Magari la biblioteca sarà un'asse su mattoni, sotto un albero, ma nel giro di una settimana inizieranno lezioni per insegnare a leggere. Si dice che ogni popolo abbia il governo che merita, ma non credo che questo sia vero per lo Zimbabwe. E dobbiamo ricordarci che questo rispetto e questo desiderio per i libri non nasce dal regime di Mugabe, ma da quello che lo ha preceduto, quello dei bianchi. È un fenomeno impressionante, questa voglia di libri, e lo si può osservare ovunque, dal Kenya al Capo di Buona Speranza.
Sono cresciuta in quella che era, di fatto, una capanna di fango con il tetto di paglia - una capanna di fango, ma piena di libri - e a volte ricevo lettere da persone che abitano in un villaggio che magari non hanno elettricità o acqua potabile (proprio come capitava a me), "anche io diverrò uno scrittore, perché vivo nello stesso tipo di casa che avevi tu". Ma no, lo scrivere, gli scrittori, non escono da case senza libri. È questa la differenza. È qui l'ostacolo.
Ho un amico in Zimbabwe. Uno scrittore. Nero, ed è questo il punto. Ha imparato a leggere da solo, dalle etichette sui barattoli di marmellata e sulle lattine di frutta sciroppata. Trovò in un mucchio di spazzatura un'enciclopedia per ragazzi e ne apprese molte cose. Nel 1980, anno dell'Indipendenza, in Zimbabwe esisteva un gruppo di bravi scrittori, un vero e proprio vivaio. Erano cresciuti nella vecchia Rhodesia del Sud, sotto i bianchi - le scuole missionarie, le migliori.
In Zimbabwe oggi non si allevano scrittori. Non facilmente, non sotto Mugabe. Tutti quegli scrittori avevano lottato per poter leggere e scrivere. Per non parlare del diventare scrittori. Leggere etichette della marmellata e enciclopedie buttate via non era raro. E stiamo parlando di un popolo che bramava livelli di scolarizzazione molto lontani dalla loro portata. Una capanna con molti bambini, una madre oberata di lavoro, la lotta per il cibo ed i vestiti.
Eppure malgrado queste difficoltà erano emersi degli scrittori e dovremmo ricordare dell'altro: questo era lo Zimbabwe conquistato di fatto da meno di cent'anni. I nonni e le nonne di questa gente magari erano cantastorie nel loro clan. In una generazione o due, si era passati dalle storie ricordate e tramandate a memoria, alla stampa, ai libri. Che conquista! Libri presi letteralmente tra rifiuti e scarti del mondo dei bianchi.
Eccomi qui, a parlare di libri che non sono mai stati scritti, scrittori che non sono mai riusciti ad emergere perché non ci sono editori. Voci mai ascoltate. Non è possibile valutare un tale spreco di talento, di potenziale. Ma prima ancora della fase in cui un libro ha bisogno di un editore, di un anticipo, di incoraggiamento, c'è bisogno d'altro. In Africa e ovunque nel Terzo mondo, o come vogliamo chiamarlo, vediamo genitori che desiderano dare ai propri figli un'istruzione che li salvi dalla povertà. La stessa nostra istruzione che oggi è così minacciata.
(© The Nobel Foundation 2007. Traduzione di Anna Bissanti)

Doris Lessing

Doris Lessing (1919-2013) è nata a Kermanshah, in Iran, e ha vissuto fino a trent’anni in Zimbabwe (allora Rhodesia). Nel 1949 si è definitivamente trasferita in Inghilterra. Feltrinelli ha pubblicato: …