Michele Serra: Se davanti alla tragedia resta solo il videofonino

20 Novembre 2007
Esiste una specie di palinsesto diffuso, nel mondo dei ragazzi, formato da milioni di immagini autoprodotte. Catturate col telefonino e buttate in rete. Film senza critica e senza pubblico, se non l’occasionale e disperso cliccare del pubblico immateriale, distante e disperso di internet. Il sogno di ogni debole: esistere ed esibirsi a rischio zero. E magari - come è accaduto a Modena - capita "la fortuna" di poter riprendere un incidente mortale. Solo che a Modena un preside risoluto ha deciso che, di fronte a questo magma spontaneo e scriteriato, sia meglio rischiare lo scandalo che fare finta di niente. Ha saputo che la terribile morte della sua alunna, schiacciata da un autobus sotto gli occhi dei suoi compagni di scuola, era diventata materia di quella narrazione spicciola. Si vociferava di atroci dettagli filmati dai ragazzi e finiti in qualche piazza o cortile di internet, accompagnata da commenti cinici e sghignazzi. Il preside ha picchiato il pugno sul tavolo e ha detto, in sostanza, che è uno schifo totale fare spettacolo di una morte, e specialmente di una morte così prossima ai ragazzi. La morte di una di loro. Ha parlato di "agghiacciante degenerazione delle relazioni umane". Ha detto di no con molta forza e molta rabbia. Soprattutto, ha deciso che disporre di un’etica, di un criterio di giudizio, era dopotutto ciò che lo qualificava adulto e preside di fronte ai ragazzi. E ha avuto ragione. Lo scandalo ha effettivamente scandalizzato, ha fatto discutere e anche soffrire parecchi dei ragazzi. Soprattutto, ha aiutato a mettere meglio a fuoco la realtà reale, diradando almeno qualche nebbia, qualche miasmo e qualche imbroglio della realtà virtuale: è venuto fuori che la maggior parte dei ragazzi, di fronte all’incidente, aveva pianto e urlato, qualcuno era scappato, qualcuno svenuto. Che solo una minoranza ha provveduto a fare spettacolo di quel povero corpo scempiato. La folla dei ragazzi, insomma, ha reagito a caldo come qualunque precedente folla. Con orrore, disperazione, paura. Naturalmente - ristabilito che la realtà è molto spesso meno degenere, meno abbruttita della sua rappresentazione - rimane la questione di quella minoranza che ha filmato la scena, e ha poi sentito il bisogno di accompagnarla, in rete, con le spiritosaggini ciniche tipiche degli adolescenti che vogliono darsi un tono. Potremmo dire che al grave vizio etico dell’insensibilità individuale, i piccoli video-maker necrofili hanno aggiunto la colpa del tradimento della realtà. Le lacrime e il dolore dei loro compagni, il lutto della piccola collettività scolastica, non erano evidentemente cose da internet. Non erano carne da buttare sulla graticola delle emozioni forti, botti da fare esplodere in mezzo alla folla depressa e repressa che frequenta la rete soprattutto nella speranza di raccogliere qualche briciola dell’eccitazione altrui. In questo, i tanti fornitori dello splatter in rete assomigliano desolatamente alla peggiore deriva dei media "degli adulti": non è facile sostenere, per esempio, che un codice etico soddisfacente (e una dignitosa autocensura) regolino la diffusione delle immagini video normalmente in onda nel mondo, a volte anche sui più rispettabili network. La ricerca del colpo basso, se non è una regola, è comunque un’eccezione frequente. Le immagini violente e il loro commercio, la spettacolarizzazione del dolore e della brutalità, non sono nate con internet e sicuramente non sono i cellulari dei liceali ad avere ripreso, nel mondo, le peggiori lesioni alla dignità dell’uomo. Questo per quanto riguarda la discutibile esemplarità dei modelli offerti dagli adulti. Di più, e a pensarci bene di peggio, possiamo avanzare anche un’altra ipotesi. Che la consegna della realtà alla sua immagine riprodotta, l’atto quasi compulsivo di filmare tutto, fotografare tutto, sia per i ragazzi nati nella tecnologia un disperato tentativo di "evitare" la realtà. Di archiviarla, consegnarla continuamente al passato mano a mano che si svolge, farne una teca infinita che assorba tutte le storie difficili da capire, tutti i sentimenti dolorosi da esprimere, tutte le situazioni faticose da affrontare. Filmare la morte per non doverla mai davvero nominare, filmare tutto per porre un velo elettronico tra sé e la vita, avvolgere tutto in un bozzolo di riflessi pulsanti e puntini luminosi. Abbassare il telefonino e guardare in faccia la vita e la morte richiede molto coraggio, spero sia questo che il preside di Modena è riuscito a far capire ai suoi ragazzi.

Michele Serra

Michele Serra Errante è nato a Roma nel 1954 ed è cresciuto a Milano. Ha cominciato a scrivere a vent’anni e non ha mai fatto altro per guadagnarsi da vivere. …