Umberto Galimberti: Il futuro impossibile

10 Gennaio 2008
I rimpianti non si limitano a rovinare la vita e la salute mentale, ma rivelano una pericolosa destrutturazione della nostra temporalità, dove il passato divora il presente e il futuro e, senza futuro, non c’è vita che possa dischiudersi a un avvenire. Sia Giuda che Pietro, ad esempio, tradiscono il loro Maestro. Giuda si fa divorare dal passato e perciò conclude col suicidio la sua esistenza. Pietro invece relega nel passato il tradimento e concede al futuro una possibilità di riscatto. Quando il passato assorbe tutto il nostro spazio temporale, il presente diventa il tempo dell’incessante lamento, fatto di "se", "se non", "se avessi", "se non avessi", e il futuro si dischiude come ambito di vuote intenzioni. La vera perdita sottesa al rimpianto, infatti, non è il desiderio inattuato, l’occasione mancata, la carriera sfumata, l’amore perduto, ma la capacità di darsi il futuro. Esemplare a questo proposito è l’espressione di Rousseau: "Per me la previsione ha sempre sciupato il godimento. Ho visto il futuro solo perdendoci", dove ritorna il motivo della "perdita" come perdita della possibilità di fare nuove esperienze. Nel rimpianto si estingue l’attività con cui tendiamo verso l’avvenire, e al suo posto subentra l’attesa dove un futuro senza progetti viene insignificante verso di noi. Insieme all’attività si spegne il desiderio che per sua natura è proiettato in avanti e col desiderio la speranza che non è vuota consolazione, ma apertura alle possibilità a venire, che ci evita di trattenerci nella prigione di un presente che, senza prospettive, si risolve nella malinconica memoria di un passato immodificabile. La noia che proviamo quando ascoltiamo chi, con rimpianto, ci parla del suo passato è forse la più palese testimonianza che in lui le sorgenti della vita si sono inaridite, perché ogni progetto, prima ancora di nascere, è già catturato dal rimpianto che lo immobilizza in un passato senza avvenire e senza oblio, il quale, diciamolo, non è un difetto della nostra memoria, né un principio di economia mentale, ma la grande regola del passato, senza la quale la vita non potrebbe esprimere un presente, né progettare un avvenire. Ma là dove il passato non è superato, anche la libertà viene trattenuta in quello sguardo retrospettivo dove il rimpianto si ripropone in quelle modalità ossessive che assediano il presente e lo rendono inidoneo al futuro. Il rimpianto dunque non è da coltivare. E coloro che si soffermano o vi indugiano pensano di soffrire per il loro passato. In realtà ciò di cui davvero soffrono è l’incapacità di darsi un futuro.

Umberto Galimberti

Umberto Galimberti, nato a Monza nel 1942, è stato dal 1976 professore incaricato di Antropologia Culturale e dal 1983 professore associato di Filosofia della Storia. Dal 1999 è professore ordinario …

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