Vittorio Zucconi: E Hillary si scoprì perdente

10 Gennaio 2008
Il marito l’aveva avvertita: ‟Hillary, stai alla larga dallo Iowa”. Ma lei niente. ‟Se non mi presento alla prima tappa, sembro debole”. Aveva visto giusto, il vecchio marpione della politica, il partner senior della "Clinton inc." che nella notte della batosta nella Prateria affiancava la moglie con il volto terreo sul palco, ma la decisione di lei era stata irremovibile. Aveva indossato la sua uniforme da combattimento, il tallieur pantalone che usa per nascondere il complesso delle "piano legs", le caviglie un po’tozze da pianoforte, aveva messo in borsetta 10 milioni di dollari prelevati da 100 raccolti finora dai finanziatori e per sei mesi aveva battuto le 99 contee, le 65 fiere campestri, le 950 chiese e le duemila scuole dell’Iowa. «Quando avrò vinto in Iowa» aveva spiegato allo scettico marito con quella sua aria da direttrice didattica, «il resto delle primarie diventeranno una discesa».è arrivata soltanto terza, battuta addirittura dal senatore riciclato dalle elezioni del 2004, quel John Edwards che si atteggia a populista mentre spende mille dollari per un’acconciatura ai bei capelli castani e 5 milioni per una casetta in South Carolina. E la corsa in discesa, per la senatrice Hillary Rodham Clinton e per la «Clinton Machine» in panne che avrebbe dovuto spingerla, ha assunto il profilo angosciante del tappone dolomitico al Giro che lei ha attaccato subito con forza un po’acidula: «Non ho perso proprio niente, oggi è un nuovo giorno in un nuovo stato. E fate attenzione alle false speranze» ha cominciato a dire per mordere Obama che ormai la tallona anche nei sondaggi nazionali. «Sono io la persona che può cambiare l’America fin dal primo giorno della mia presidenza». Dick Morris, il manipolatore d’opinione che odia Hillary dopo aver salvato nel 1998 la ditta Clinton dalla minaccia Lewinsky mentre beveva champagne dal balcone dell’hotel Hay Adams a Washington in accappatoio bianco insieme con una squillo (senza accappatoio), consiglia di non vendere ancora la pelle della signora, perché «ha una corazza da aragosta». «Quando si passerà ai grandi stati, money talks and bullshit walks», spiega Morris con brutale proverbio western, i soldi parlano e le balle camminano. Saggio consiglio, ma questa stangata arrivata dalla prateria dove soltanto un elettore democratico (dunque del suo partito) su quattro l’ha scelta, dove la sua base naturale, le donne, l’hanno disertata preferendole Obama, e i giovani l’hanno snobbata, ha rivelato una crepa nel suo carapace ed è, paradossalmente, dove sarebbe dovuta essere la sua forza. Il suo essere donna. Se Hillary Clinton è più debole dei pronostici, è perché ossessionata dal bisogno di apparire forte. La sua ostinazione nel volere il voto dei contadini dello Iowa nasce dalla fatica di mostrarsi tosta e autonoma rispetto all’ombra divorante del marito. Salvo poi chiamare lo stesso Bill per fargli sfoderare il carisma, l’aureola bianca e gli occhi maliziosamente azzurri, quando ormai è troppo tardi. E trascinare la mamma e la figlia sul palco per costruire un presepe familiare femminile troppo artificioso per sembrare credibile. La sessantenne senatrice vive e subisce il dramma di tante donne in politica, e non soltanto in politica, il perenne oscillare fra l’imperativo di sembrare più dura di quello che è, per non apparire una donnetta, e poi di fingersi più morbida di quanto sia, per non apparire un’arpia. E’un esercizio ingiusto ma che la personalizzazione della politica americana, dove appunto la personalità conta assai più del partito e una donna non ha alle spalle una Cdu, come la Merkel, o un Partito Conservatore come la Thatcher, impone. Costretta per tutta la sua vita a dimostrarsi più brava dei maschi, la socia femmina della ditta Clinton non ha neppure la cintura di sicurezza dell’autoironia e dello humor per non sbattere contro i parabrezza dell’imprevisto. Tende a rispondere piccata, quando la pungolano. «Mi accusano di avere sposato Bill per calcolo - disse in una chiesa dello Iowa - e capirai che calcolo. Quando l’ho sposato, questo qui (l’ex presidente degli Stati Uniti per 8 anni, sarebbe «questo qui») non aveva un posto, aveva duemila dollari in banca e 27 mila dollari di debiti per pagare la retta». Che differenza c’è fra lei e Bill, signora? «Che io impiego molto più tempo di lui per truccarmi e andare in televisione», ha sospirato, prevedendo gli inevitabili insulti alle sue rughe e zampe di gallina. Prima della classe per natura e per necessità, da quando era una zelante chierichetta della destra repubblicana di Goldwater prima di convertirsi ai Democratici, Hillary nata Rodham, poi divenuta Hillary Rodham-Clinton col trattino femminista, poi tornata soltanto Rodham e oggi soltanto Clinton senza Rodham in attesa di vedere come andranno le elezioni, è vittima della propria diligenza. Vive e respira sondaggi e «focus group», quelle cavie umane che vengono sottoposte a test per sapere se preferiscano il dolce al salato e il risultato è il contrario del memorabile monito dell’attore Ronald Reagan: «In politica devi essere sincero, se riesci a fari finta di essere sincero, vinci». Lei proprio non ci riesce perché le sue verità cambiano con i grafici dei sondaggi. E’troppo furba per sembrare autentica. Bill ha cercato di insegnarle a guardare negli occhi gli interlocutori, ma il suo sguardo sfugge, gli occhi sembrano cercare nel disco rigido della memoria la risposta più corrispondente all’ultimo sondaggio. Precisamente le ricetta per perdere le elezioni in stati nei quali gli elettori vanno conquistati uno per uno, prima di potersi rifugiare nella finzione televisiva. Questa, della insincera piattezza del panorama tv, è la terra promessa che Hillary con la sua "Clinton Machine" spera di raggiungere dopo la caduta, forse umanizzata dalla scoperta che nessuno, in una democrazia autentica è il vincitore inevitabile. Se vorrà la scrivania che fu di suo marito, dovrà pedalare in salita.

Vittorio Zucconi

Vittorio Zucconi (1944-2019), giornalista e scrittore, è stato condirettore di repubblica.it e direttore di Radio Capital, dove ha condotto TG Zero. Dopo aver cominciato nel 1963 come cronista precario a …