Vittorio Zucconi: McCain, la riscossa del panchinaro. Repubblicani eccomi, sono risorto

10 Gennaio 2008
L’autobus del "Parlar Chiaro", lo "Streight Talk Express" come annuncia la scritta sulle fiancate d’alluminio, viaggia sulla strada innevata delle paure e delle speranze di un partito repubblicano che vede arrivare il momento della resa dei conti con la nazione dopo otto anni di Bush ed è terrorizzato dalla propria confusione. L’uomo che ne discende e vi risale dieci volte al giorno con i comprensibili cigolii del settuagenario nell’inverno umido dell’Atlantico aggravati dall’anchilosi alle spalle torturate a Hanoi, è il Lazzaro della campagna elettorale, il «Risorto!» lo chiama Time con punto esclamativo, quel senatore John McCain che otto anni or sono umiliò proprio in New Hampshire George W Bush prima di essere distrutto dalla torva macchina da guerra del futuro presidente. Ma oggi si trova nella posizione paradossale di dover salvare la destra americana dalla minaccia di quell’incontrollabile voto cristianista e populista incarnato dal pastore di anime e mietitore di voti, Mike Huckabee, sapendo di essere condannato poi lui stesso a tornare nel sepolcro. Con l’aria del grande vecchio - nessuno è più anziano di lui nel campo dei concorrenti repubblicani e democratici - che ancora una volta sente di essere chiamato a sistemare i pasticci combinati dai giovani, John Sidney McCain il Terzo, rampollo di famiglia militare e figlio di un ammiraglio, ha portato i suoi 72 anni in testa nei sondaggi per la primaria di martedì prossimo. Sta davanti al «robot» Mitt Romney, l’arancia meccanica che riesce a sembrare anche meno spontaneo e sincero di Hillary Clinton, e se perdesse anche qui rischierebbe di perdere le ruote. Ed è nettamente favorito anche rispetto al messia venuto dallo Iowa, Mike Huckabee. Si è confermato ancora una volta il «candidato rifugio», il venerabile panchinaro al quale gli elettori della destra si rivolgono quando i titolari inciampano. In attesa di scaricarlo appena la partita politica sul campo prende una piega migliore. Si capisce dunque perché i cittadini di questo stato del New England, popolato da un curioso mix di antichi calvinisti, montanari scontrosi e «suburbaniti» yappizzati arrivati dalla vicina Boston per sfruttare l’assenza di tasse statali sul reddito, lo bombardino sempre con la stessa domanda e lo stesso dubbio: «Lei è un uomo amaro, senatore?». «Lei corre per sfogare il rancore e la rabbia per come l’establishment repubblicano controllato dal clan Bush la massacrò nel 2000, dopo che lei aveva sbaragliato proprio Bush figlio in New Hampshire, dandogli 18 punti di distacco?», gli chiedevano ieri a ogni stop della corriera. Il senatore amaro non può negare che per «tre e quattro giorni mi rimase un sapore sgradevole in bocca», ma che ora è un uomo diverso, più sereno, più maturo, soprattutto più certo della propria capacità di leadership. «L’ho ascoltato e ora ha il mio voto» ha fatto sapere ai giornalisti un signore che consumava frittelle e bacon a Newport, uno dei paesetti cloni che punteggiano lo «stato del granito», come si fa chiamare il New Hampsire per le sue cave di marmo. Settantadue anni di vita, cinque di prigionia e uno sull’orlo del carcere per il coinvolgimento nello scandalo bancario delle Casse di Risparmio negli anni 80, storia di falsi e di truffe alla Parmalat e Ciro americane, aiutano a maturare e calmare anche un nato sotto il segno del Leone, agosto 1936, come lui, ma non si calma invece l’ostilità che i boiari del partito nutrono nei suoi confronti. Senza arrivare all’indecenza della campagna di calunnie che il "Team Bush" guidato dal "consigliori" Karl Rove scatenò contro di lui dopo l’umiliazione nel New Hampshire nel 2000, insinuando che fosse padre di figli avuti da una relazione segreta con una, orrore, donna nera nella Carolina del Sud, i potenti della destra, sia quella che si riconosce in Nazareth sia quella che preferisce WalStreet, lo detestano. Non sopportano il suo essere un cavaliere solitario, di dire e fare cose controtendenza, come la sua proposta di legge per tentare di assimilare e regolarizzare i 20 milioni di clandestini che fanno funzionare l’economia povera e che nessuno si illude più di poter espellere, o come la sua riforma dei finanziamenti elettorali che non ha impedito, ma ha reso più complicata, la compravendita di uomini politici per le grandi lobby. Gli rimproverano di avere avuto ragione, quando per quattro anni ha ripetuto che la strategia militare seguita in Iraq dalla irresistibile coppia Rumsfeld Cheney era una follia e molti più soldati sarebbero stati necessari per creare almeno l’apparenza del controllo territoriale. Un atteggiamento da falco lucido che gli valse l’imperituro odio dei falchi allucinati alla maniera dei neo-con. Ma ora che lo sceriffo con la pistola scarica, Rudy Giuliani, sembra avere dimostrato la propria «inellgibilità», e il robot mormone Romney si è dimostrato indigeribile per la base cristiana e moralista della quale la destra ha bisogno per vincere, al vecchio pilota di Marina il partito chiede, a bocca storta, un’ultima missione. Chiede di abbattere il reverendo populista e devotamente anti establishment Huckabee prima che da brillante curiosità giornalistica diventi un rullo compressore. John McCain resta «ineleggibile» in un futuro duello nazionale con il democratico, un uomo troppo poco mellifluo, troppo brusco, troppo laico, troppo poco genuflesse per poter piacere alla cintura della Bibbia o ai repubblicani con lo schioppo e i trust fund. 72 anni, quattro più di quanti ne avesse Reagan quando condusse le sue primarie vittoriose, sono tanti anche per un partito che diffida per istinto degli spiriti animali e peccatori dei giovani. E sulla sua pessima opinione di Bush e della sua tragica squadra di governo, nessuno dubita. Ma poiché la politica sempre produce strane alleanze e strani compagni di letto, oggi il partito disperato guarda a lui per fermare il reverendo. La sua è una missione da kamikaze, senza ritorno. è comprensibile che poi lui si senta un po’amaro, se dopo tante resurrezione, ancora non riesce a vivere.

Vittorio Zucconi

Vittorio Zucconi (1944-2019), giornalista e scrittore, è stato condirettore di repubblica.it e direttore di Radio Capital, dove ha condotto TG Zero. Dopo aver cominciato nel 1963 come cronista precario a …