Vittorio Zucconi: Tra i repubblicani lo spettro di Giuliani sogna l’ora della rivincita in Florida

11 Gennaio 2008
È lui lo spettro innominabile che si aggira nel castello repubblicano, in attesa della rivincita contro gli ingrati umani che anche ieri nel New Hampshire lo stanno trattando come se fosse il convitato invisibile. Da quando ha rinunciato a coprirsi la testa con i richiamati da avanspettacolo che usava quando era sindaco di New York e si spazzola virilmente all’indietro i capelli imbrillantinati sulla pelata, Rudolph Louis Wlliams Giuliani il Terzo (il Secondo della dinastia trascorse qualche tempo ospite dei penitenziari di New York per faccende di mafia) è stato paragonato al Peter Cushing di Dracula, al quale vagamente somiglia, nello sguardo un po’inquietante e nella brama insoddisfatta di succhiare voti. «Ci rivedremo in Florida» ha sibilato Rudy il vampiro insoddisfatto con quel suo mento appuntito lasciando il New Hampshire prima ancora che i voti fossero contati. Li aspetta tutti, come il fantasma di Cesare a Filippi nel sogno di Bruto, nello stato dei vecchi, dei pensionati, dei «bravi ragazzi cubani» e della politica notoriamente più corrotta e venduta d’America, la Florida di Jeb Bush, dove ha tracciato la propria linea nella sabbia per fermare la sua discesa verso l’irrilevanza in un’elezione presidenziale del 2008 che anche lui, come nell’altro campo Hillary, credeva di avere già vinto. Come la signora piangente, così anche Rudy è la big story in negativo, o shock di questa stagione elettorale americana, il film dell’attore che si era vestito per un horror movie e al momento del ciack scopre che si sta girando un film di Natale intitolato «E’ora di cambiare». Giuliani si era impadronito del passato, della paura, del lutto e di quel suo giorno di crudelissima gloria quando, elmetto di plastica in testa e pompieri esausti al seguito (quegli stessi pompieri che oggi lo detestano e lo sconfessano) si era fatto riprendere nella polvere di Wall Street, icona della città che non si piega. La scommessa di Giuliani era l’en plein sul 9/11. Tutto o niente. Nessuno meglio di lui avrebbe saputo incarnare l’America con le pistole spianate, impegnata in una «offensiva senza pausa» contro l’Islam, i jihadisti, gli islamofascisti, come li chiamano i residuati del neo conservatorismo che si sono infatti raccolti attorno alla sua campagna. Giuliani si era proposto come un neo Bush alla seconda potenza. «Ricordatevi quello che ho fatto per New York l’11 settembre» ripeteva, ignorando la maliziosa battuta di un comico satirico popolarissimo come Chris Rock che gli aveva risposto: «Ma io vorrei sapere che cosa hai fatto il 10 settembre». Quando quel numero fatale ha cominciato a non uscire più sulla roulette delle ansie americane, scavalcato dall’economia, dal collasso immobiliare, dall’immigrazione, dalla sanità, e la «continuità» che lui incarnava è divenuta tombale, il Dracula delle paure si è scoperto a secco di nuovi costumi da indossare. Non più quello che fece «dopo», ma quello che aveva fatto prima, come sindaco e poi come privato cittadino associato con il suo ex capo della polizia Kerik oggi incriminato per frode e associazione a delinquere, è divenuto il sacello nel quale si è trovato imprigionato. I giornali di New York, che lo hanno sempre cordialmente detestato venendone ricambiati («jerks», idioti, li chiamava Rudy) sono andati a rileggere i capitoli della sua vita complicata. Hanno cominciato dal bizzarro matrimonio con Regina Peruggi, una cugina italiana che soltanto lui, nella famiglia presente alla cerimonia in chiesa, ignorava fosse sua cugina, prima di scoprirlo, dopo ben 17 anni di matrimonio e ottenere l’annullamento da un prelato di New York poi deposto per pedofilia. Sono affiorate le «clintoniane» infedeltà coniugali, culminate nel divorzio dalla seconda moglie annunciato in conferenza stampa prima che la signora stessa ne fosse informata, gesto che costrinse «Suo Onore», il sindaco, a rifugiarsi a casa di una coppia gay quando la moglie, comprensibilmente un po’irritata, gli fece trovare le valigie sulla porta e la serratura cambiata. Vennero fuori le missioni della polizia di New York per portare l’amante Judith Nathan, oggi terza sposina, in giro a fare shopping senza la nota rogna del parcheggio a Manhattan, pagate con fondi pubblici, anche se regolarmente messi a libro. I «jerks», gli idioti dei media si divertirono a raccontare le stravaganza della terza moglie, che pretende di viaggiare in aereo con un sedile libero a fianco, per posarvi il proprio costoso borsone dalle celebri iniziali «LV», l’odio per lui dei figli del primo matrimonio, che non gli rivolgono più la parola, e i profitti in consulenze fatte con il socio (quello processato per frode) dopo l’11 settembre, quel Kerik che aveva suggerito a Bush come capo della sicurezza nazionale. «Mi sono sbagliato e ho chiesto scusa» dice ora, «tutti possiamo sbagliare». Ma la scommessa era che il numero magico, il 911, avrebbe fatto dimenticare al devoto, militante, morigerato e ipocrita elettorato repubblicano, il suo essere italiano nel nome, le sue avventure, gli errori, l’essere figlio di una città vista come Sodoma e Gomorra dall’America timorata di Dio, le sue posizioni pro aborto e pro gay. L’essere stato lo sceriffo stronca crimine, «il Sindaco d’America», in un momento squassante, avrebbe fatto perdonare tutto, se l’ipnosi della paura avesse retto. Qui è stato, finora, il suo errore politico, non avere capito che una nazione che non riesce, per propria natura, a vivere a lungo nella cupezza, nel pessimismo e nella paura, si sarebbe stancata di prefiche, vampiri e profeti di morte. Proporsi come neo Bush a un elettorato che di Bush ha, repubblicano o democratico che sia, la nausea, («Grazie a Dio abbiamo Bush presidente» sostiene di avere detto nelle ore del crollo delle Torri) è stata la gaffe che lo ha costretto a incassare sconfitta dopo sconfitta e a rifugiarsi nella "Filippi della Florida". Soltanto lo stato confusionale del partito repubblicano acefalo gli permette ancora di sperare che una vittoria nello stato dove l’elettorato anziano e i molti newyorkesi ebrei sfuggiti al gelo per morire al caldo, dove il mantra del «cambiamento» funziona per i 70enni assai meno che tra i giovani, potrebbe strapparlo allo scantinato del castello dove le prime elezioni lo hanno rinchiuso. Il Dracula italo americano che succhia le paure deve puntare paradossalmente sul sole per risorgere. Sapendo, come sa chiunque abbia visto un film di vampiri, che se il sortilegio non gli riuscirà, Rudolph William Louis il Terzo si ridurrà in polvere.

Vittorio Zucconi

Vittorio Zucconi (1944-2019), giornalista e scrittore, è stato condirettore di repubblica.it e direttore di Radio Capital, dove ha condotto TG Zero. Dopo aver cominciato nel 1963 come cronista precario a …

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