Vittorio Zucconi: Accuse, veleni e colpi bassi. In tv il derby allo sfascio dei democratici

29 Gennaio 2008
C’è qualcuno che ride, oggi, davanti al sangue politico che scorre fra i Clinton e Barack Obama dopo il "duello coltello" in Carolina e si prepara a raccogliere i resti di una sinistra che si sta dissanguando e sbranando fra colore della pelle, genere, scheletri negli armadi altri e propri. Ridono i repubblicani, convinti ora di poter vincere una Casa Bianca che i democratici stanno facendo tutto il possibile per perdere. Prendiamo una famiglia di "Vid", di Very Important Democrats: casa Jackson. Jesse il patriarca, il ‟corri Jessie corri”, l’ex ragazzo 67enne che raccolse il corpo di Martin Luther King a Memphis; Jacqueline, la moglie e partner nella lunga avventura politica; Jesse jr. il figlio deputato democratico al Congresso. Sono "south carolinian" di sangue, nativi, e hanno scelto così ieri mattina: Jessie per Barack Obama, Jacqueline per Hillary Clinton, Jessie jr per Obama. Due uomini e una donna, due anziani e un giovane, tre neri, una famiglia simbolo tagliata dalla lama incandescente di questa sfida bianco-nero, maschio-femmina, che per vincere la candidatura, rischia di perdere il premio vero, la presidenza. Se la regola delle primarie è sempre questa, massacrare l’avversario della tua stessa parte per poi dedicarti al nemico oltre il fiume, il risultato delle elezioni primarie democratiche, in questo stato della Carolina del Sud dove per la prima volta votava un massiccio contingente di elettori di colore, è già noto. Hanno vinto quelli che non c’erano. Hanno vinto i repubblicani, John McCain, Mitt Romney, forse persino l’annaspante Rudy Giuliani. La conclusione della prima elezione in un stato dominato dall’elettorato "black" è che il vincitore sarà il piccolo Napoleone della campagna, il conquistatore di una città devastata. E dovrà ricostruire quella sinistra che ha demolito per conquistarne la bandiera. Sono stati i Clinton, lui e lei, e i clintoniani che lavorano per la "Clinton Machine" a lanciare la tattica della "terra bruciata" per infrangere quella che Clinton (lui) definì la ‟bella favoletta” Obama. Colta in contropiede dalla forza di un candidato diverso nella storia e nel messaggio di cambiamento e di unità nazionale che aveva spiazzato i suoi istinti di combattente aggressiva e il suo essere storia antica, la coppia Billary ha deciso che estremi pericoli richiedevano estreme misure. Clinton (lui) ha buttato la colpa addosso ai media, sempre l’ultima dea di chi sta nei guai. Intanto Clinton (lei) che già aveva abbandonato la Carolina del Sud per altri stati, venerdì è ripiombata qui di gran carriera. Ha indossato una giacca sgargiante giallo limone che sparava raggi di sole sotto i riflettori per sembrare più femminile, più donna con le donne, meno impresario di pompe funebri. ‟Io so come voi vivete, so che cosa vi serve”, come a dire non quell’altro venuto dal nord, che non ha mai dovuto fare la spesa coi buoni pasto. E’andata anche lei, turandosi il naso, in un salone di parrucchiere per signore, come aveva fatto Obama il giorno prima, a giocare la parte di ‟una delle girls”, ‟fra noi ragazze”. Forse non le è bastato per acciuffare il primo posto, ma non era quello l’obbiettivo. L’obbiettivo era di giocare la "carta donna", per sparigliare attraverso il sesso il tavolo del voto nero per Obama. E infatti la signora Jackson, la matriarca, ha reagito come voleva Hillary: ‟Voto per lei perché prima di essere un’afroamericana, io sono una donna”. Bingo. I sondaggi nazionali implacabilmente registrano gli effetti di questa guerra fratricida o sorellicida a sinistra. MSNBC informa che in un ipotetico scontro finale fra l’eroico settuagenario senatore John McCain o il plastificato mormone Mitt Romney (‟se divento presidente io, lo nomino subito ministro dei bellocci” ha scherzato Barak Obama nello show satirico di David Letterman) sono davanti sia a Clinton che a Obama. L’elettorato democratico, che mai ha amato Clinton (lei) è irritato, stordito, nauseato dalla zuffa fra i due campioni democratici che si graffiano, quelle repubblicano comincia a vergognarsi di meno dell’eredità Bush. Anche la sinistra americana, come tutte le sinistre, vive sempre nel sogno dell’"unità" immaginaria del partito e poi soffre la puntuale scoperta delle divisioni reali. Dove non sono arrivati gli spot e le pugnalate dei diretti avversari, sono arrivati i ‟surrogati”, i secondi che hanno peggiorato le cose. Dall’oblio della propria vecchiaia, un collega di Jesse Jackson, Andy Young ha assicurato l’America nera che ‟Bill Clinton è praticamente uno di noi, perché è stato a letto con più donne nere di qualsiasi afro americano”. Gli era sembrata una buona battuta, si è rivelata una gaffe mostruosa. John Kerry, il grande trombato contro Bush nel 2004, ha giocato la classica parte del ‟Bruto è un uomo d’onore”, spiegando che ‟Barack ha frequentato madrasse laiche (ignorando che una madrassa laica è come dire un seminario anticlericale) ha vissuto esperienze nel mondo islamico, ha abitato in nazioni islamiche, aveva un padre mussulmano e questo è positivo”. Mica tanto, perché quel subdolo modo di martellare sulla parola mussulmano riporta Barack al peso di quel secondo nome, Hussein. Nel dibattito televisivo qui nelle Carolinas, Hillary stessa ha lanciato all’avversario l’accusa più rovente, quella di ipocrisia e doppiezza: ‟Mentre diceva di fare l’avvocato dei poveri a Chicago, era pagato da un signore degli slum, Tony Rezko”. Uuuuuh, ha fatto il pubblico. Obama è barcollato, ma il giorno dopo dalle paludi di Internet è emersa una foto ufficiale nella quale i Clinton sono ritratti sorridenti e alla Casa Bianca davanti alla bandiera e accanto a chi? Allo speculatore immobiliare incriminato, Tony Rezko. ‟Non mi ricordo” si è difesa lei, difesa non brillante per un grande avvocato quale è. Più che una campagna elettorale, ‟questo è un demolition derby”, ha scritto sul New York Times, Bob Herbert, una di quegli autoscontri fra vecchie carrette che cercano di sfasciarsi a vicenda. Ma tutti escono malconci dai ‟derby alla sfascio” e nelle ultime ore di questa primarie in Carolina del Sud, il gradimento della terza ruota, il senatore Edwards, nativo di questo stato, è schizzato in alto semplicemente perché il suo messaggio è stato: basta ragazzi, piantatala di spararvi fango addosso. Cosa che invece gli insapori, blandi candidati repubblicani, tutti desolatamente uguali, vecchi maschietti bianchi di mezza età, sperano che continui ferocemente almeno fino alla grande valanga di primarie in 21 stati, il 5 febbraio prossimo. ‟A noi repubblicani basta aspettare pazienti che i democratici si autodistruggano per tornare al potere”, ha detto Dick Morris. Ci ricorda qualcosa.

Vittorio Zucconi

Vittorio Zucconi (1944-2019), giornalista e scrittore, è stato condirettore di repubblica.it e direttore di Radio Capital, dove ha condotto TG Zero. Dopo aver cominciato nel 1963 come cronista precario a …