Vittorio Zucconi: Troppo Bill dietro Hillary. L’America accusa i Clinton

29 Gennaio 2008
‟Clinton for president”, invocano i cartelli blu sulle strade della Carolina del Sud nelle ore delle primarie democratiche: ma quale Clinton? Lei o lui? Per chi e per che cosa stanno davvero votando coloro che sabato preferiranno quel nome a quello di Barack Obama? ‟Stiamo andando verso la terza presidenza di Bill, piuttosto che la prima di Hillary?”. Il sospetto arriva dal Los Angeles Times, quotidiano di sinistra ma fresco iscritto al crescente partito di quelli che al messaggio della ‟prima donna presidente” credono sempre meno. Fu dopo la stangata elettorale dell’Iowa, quando la regina designata si scoprì Cenerentola e Hillary si sciolse nel magone commiserando se stessa per il previsto bis nel New Hampshire, che i meccanici della ‟Clinton Machine”, della ditta Clinton&Clinton, decisero che lei, da sola, non ce l’avrebbe fatta, e di togliere il guinzaglio al vecchio e formidabile mastino bianco. Si oppose una donna autorevole del gruppo, Ann Lewis, obbiettò molto un’altra figura importante nel fronte femminile democratico, Donna Brazile, ma le ricerche d’opinione erano spietate. Lui piace al 79% degli elettori, lei a poco più del 50%. Dunque basta con i presepi familiari a tre con la povera figlia Chelsea muta, in ostaggio, fra lui che faceva il presentatore e lei la stella, utili soltanto a dimostrare brutalmente l’immenso gap di fascino fra i due. I vignettisti ormai disegnano Bill con un pappagallino sulla spalla con la faccina di Hillary. Urgeva puntare sul ‟fattore Bubba”, su Bill che avrebbe dovuto muoversi da solo, fare il libero, bisognava sguinzagliarlo. E il vecchio cagnone canuto lo ha fatto, da quel formidabile animale politico che è, finalmente libero di correre, riuscendo bene, addirittura troppo bene, nel ruolo dell’attack dog contro Obama, eclissando la moglie e appannando la mistica del nuovo potere femminile. E creando l’impressione assai poco femminista del solito cavaliere che corre a salvare la damigella nei guai. Ne è nato un club spontaneo di indispettiti, soprattutto di indispettite non sospettabili di maschilismo, che ormai si chiedono, come fa Gail Collins sul New York Times: ‟Chi governerà l’America se Hillary sarà eletta? Lei o lui?”. Il club di quelli che cominciano a fiutare una terza presidenza di fatto ed extra costituzionale di Billy ‟Bubba” Clinton nascosto dentro i calzoni della moglie, e lo stanno pregando di ‟darsi una calmata” (evidentemente non lo conoscono) iscrive ogni giorno nuovi aderenti. Qui in South Carolina è rimasto addirittura soltanto lui a battere le contrade, lei s’è involata. Se alcuni critici sono scontati, come il commentatore della destra Fred Barnes che riconosce la mano dell’ex presidente nella classica strategia clintoniana del vittimismo (‟tutti i media ce l’hanno con Hillary”, piagnucolò lui) ci sono gli insospettabili, anzi, le insospettabili, che colpiscono, con lucida spietatezza femminile, il cuore del messaggio di Hillary, il suo presentarsi come femmina indipendente, autorevole e dunque ‟nuova”. ‟Avere un coniuge che ti appoggia è un requisito di ogni campagna elettorale, e un marito che ha fatto il presidente è il massimo”, si stizzisce la Collins sul New York Times, ‟ma qui si sta esagerando. Bill ha invaso il campo, fa il guru, lo stratega, quello che deve contrattaccare per difendere la moglie, tra un po’disegnerà anche gli adesivi”. E il sospetto è che, dietro i titoli presenti e futuri, sia ancora e sempre lui il capo della ditta ‟Clinton&Clinton”. Così comportandosi, ‟distrugge il mito centrale della campagna, che sia lei la persona diversa, la donna, alla quale un’America depressa deve affidarsi”. I Clinton sono ‟un’idra a due teste”, spara il tabloid New York Post, e la sempre irritabile Maureen Dowd, sul Times, avverte che Clinton (lui) sta infilzando il cuore della speranze di Clinton (lei) sparando contro Barack Obama e alienando quell’elettorato di colore che domani darà la Carolina del Sud a Barack e che nelle elezioni generali di novembre potrebbe ricordarsi di come sfacciatamente Clinton (lui) abbia giocato la carta razziale per salvare Clinton (lei). Senza il voto degli afro-americani, il candidato democratico non può vincere. Ma neppure un candidato nero può vincere. Dick Morris, che li conosce bene perché li salvò da Monica e oggi li odia, sostiene che è stato il diabolico ‟Bubba” Clinton a concedere la Carolina del Sud, per far stravincere Obama con il voto dei molti elettori neri e quindi ricordare all’America bianca che il giovane senatore è, appunto, un ‟black”. I più vecchi ricordano che già nella loro prima avventura elettorale, nel 1992, uno degli slogan clintoniani era quello del ‟pagate per uno e comperate due”, della co-presidenza. Circolava allora un adesivo molto popolare fra le donne, che diceva: ‟Io voto per il marito di Hillary”, ma sedici anni dopo, scrive Rosa Brooks sul Los Angeles Times, dunque un’altra donna, ‟purtroppo quello slogan è più vero, e ogni giorno che ci avvicina alla probabile candidatura di Hillary si ha la sensazione che lei sia ancora seduta sul sedile del passeggero e che senza il fattore Bubba lei da sola non avrebbe fermato Obama”. Ma nella ditta ‟Clinton&Clinton”, come in tutte le società, i debiti si pagano e se ritorneranno, in quella Casa Bianca che fu loro, sarà molto difficile rimettere alla catena il grande mastino dal pelo bianco che salvò la moglie in lacrime.

Vittorio Zucconi

Vittorio Zucconi (1944-2019), giornalista e scrittore, è stato condirettore di repubblica.it e direttore di Radio Capital, dove ha condotto TG Zero. Dopo aver cominciato nel 1963 come cronista precario a …