Vittorio Zucconi: Fermato dopo 26 anni il boia per Abu Jamal

28 Marzo 2008
Per la Filadelfia nera fu ‟la voce di coloro che non hanno voce”. Per il tribunale e per la Filadelfia bianca fu l’assassino che abbatté a freddo il poliziotto che aveva fermato il suo taxi una notte d’inverno. Per tutti, da oggi Mumia Abu Jamal, giornalista, Pantera Nera, autore, agitatore, ma soprattutto condannato a morte in attesa di esecuzione dal 1982, è il morto che è tornato a camminare. E che ha segnalato la possibile fine dell’era della giustizia linciaggio. Dopo 26 anni trascorsi nella sala d’attesa del patibolo, Mumia Abu-Jamal è sfuggito alla siringa, grazie a un giudice che ha annullato la condanna e ha chiesto alla procura di rifare il procedimenti che portò alla pena capitale. Cosa che non avverrà, per i costi e per la certezza dell’insuccesso. Dunque Mumia che sarebbe dovuto essere l’ucciso numero 1.100 dal ritorno del patibolo nel 1976, è invece colui che segna, in questa fine marzo, il più lungo periodo nella storia americana dell’ultima generazione senza nessun omicidio di stato: sei mesi, da quel 25 settembre dello scorso anno, quando fu ucciso in Texas Michael Wayne Richard.
È altamente improbabile che quest’uomo di colore entrato nel braccio della morte quando aveva 28 anni e doveva integrare le proprie misere entrate di giornalista radicale con la guida notturna di un taxi. Mumia, nato Wesley Cook prima di convertirsi all’Islam, era stato condannato attraverso uno di quei processi linciaggio, voluti in una Filadelfia squassata da sommosse razziali e dalla feroce, quotidiana lotta fra il potere bianco e il ghetto nero. Le prove erano apparse ben presto fragilissime, neppure il calibro del proiettile che aveva ucciso l’agente Danny Faulkner (bianco) corrispondeva a quella della sua pistola e la giuria era stata tutta scelta fra la Filadelfia bianca, in quella Pennsylvania dove ancora oggi un mite personaggio come Barack Obama viene guardato come un pericoloso sovversivo. La sua autodifesa dal carcere, manifestata in trasmissioni radio, libri, articoli, memoriali, ne aveva fatto la cause celebre della giustizia ingiusta e quei 26 anni di rinvii, ricorsi, sospensioni, appelli e contrappelli dimostravano che ormai nessuno aveva davvero più voglia di ammazzarlo. Soprattutto ora, quando il ghetto non appare più come una cittadella di guerriglieri con i ‟dreadlocks”, le treccine rasta.
Nel 1982, quando entrò nel braccio della morte del penitenziario statale, ben pochi avrebbero pensato che Mumia sarebbe non soltanto sopravvissuto per 26 anni, ma che proprio lui, il ‟terrorista islamico” di altre guerre di civiltà, sarebbe stato il segnavento della svogliatezza e forse del rimorso con il quale l’America comincia a guardare al boia. Il vento è davvero cambiato, anche in quei 38 stati, su 50, che fino allo scorso anno ammettevano, anche se spesso non praticavano, le esecuzioni. Tutte le notizie, le sentenze, le decisioni di tribunali come di assemblee elettive locali, anche prima del voto all’Onu sulla moratoria tanto voluto dal governo italiani (e opposto da nazioni come gli Usa, la Cina e l’Iran) vanno nella direzione di un profondo ripensamento, se non ancora di pentimento. Il senato del New Jersey ha votato per cancellarla. Il Maryland è in moratoria, dopo avere scoperto con orrore amministrativo che ogni esecuzione costa ai contribuenti, fra la sentenza e la messa a morte, 37 milioni di dollari. L’Illinois non uccide da anni.
Persino il Texas, lo Stato dove George W. Bush respinse ogni richiesta di commutazione nei suoi sei anni di regno e mandò a morire 350 detenuti facendo anche la spassosa imitazione di una di loro, Karla Fay Tucker (‟sento la sua vocina, non ammazzatemi, please, non ammazzatemi” disse a un intervistatore televisivo) ha dovuto commutare in ergastolo la pena di Thomas Miller-El. Per tre volte le corti, dal giudice distrettuale fino alla Corte Suprema, avevano bloccato l’esecuzione per gravi vizi procedurali.
Sbalorditiva addirittura la dichiarazione del ministro della Giustizia, Michael Mukasey che ha garantito che i detenuti nel campo di concentramento di Guantanamo non saranno, neppure se riconosciuti colpevoli dai tribunali militari, giustiziati. ‟Ammazzarli significherebbe soltanto fare nuovi martiri per la loro causa”.
Mumia, il morto che non morirà, si è salvato dall’iniezione grazie a un cavillo scovato dal giudice che da ieri sera indigna le ‟ultime raffiche” della destra forcaiola e giustizialista (con i neri). Sono le istruzioni sbagliate che il giudice del procedimento originale di sentenza (separato dal procedimento di condanna, nei processi) aveva dato ai giurati popolari. Non aveva spiegato che le circostanze attenuanti non richiedono un’approvazione all’unanimità, come invece la sentenza di colpevolezza, e proprio la assenza di ogni circostanza attenuante aveva imposto la senza capitale. E’ un evidente cavillo, un filo di formaggio al quale il giudice si è aggrappato, ma proprio l’esilità della motivazione prova la solidità dell’intenzione, che è il rifiuto di mandarlo a morire, senza dover accettare le sue proteste di innocenza scritte e raccontate da 26 anni.
Non è ancora la demolizione della macchina della morte, in attesa che la Corte Suprema stabilisca se le siringhe siano, di nuovo, ‟pena crudele”. E’ il segnale che a differenza di stati come la Cina o l’Iran dove le esecuzioni sono praticate in massa e per reati che altrove neppure sarebbero tali, l’America sta arrivando per via pragmatica e non moralista alla conclusione morale che la forca è una risposta indegna, inutile e ingiusta. I sondaggi segnalano che lentamente cresce anche l’opposizione al boia, e il rapporto di 6 a 2 tra favorevoli e contrari si è ridotto a 5 contro 3. Torna vera la famosa citazione di Churchill, secondo il quale ‟si può sempre contare sul fatto che l’America faccia la cosa giusta, dopo avere fatto tutte le cose sbagliate”. Se giusto è tenere nel braccio della morte per 26 anni qualcuno soltanto perché porta un nome mussulmano e le treccine rastafari.

Vittorio Zucconi

Vittorio Zucconi (1944-2019), giornalista e scrittore, è stato condirettore di repubblica.it e direttore di Radio Capital, dove ha condotto TG Zero. Dopo aver cominciato nel 1963 come cronista precario a …