Michele Serra: L'amaca di giovedì 5 giugno 2008

05 Giugno 2008
La gloriosa e decrepita barzelletta su Carlo Marx che dice "lavoratori di tutto il mondo, scusatemi", che ho udito per la prima volta sui banchi del ginnasio (erano gli anni Sessanta), è stata ripetuta dal nostro capo del governo ai premier di mezzo mondo. L’aveva già detta parecchie legislature fa. Ma la ripete oggi con immutata verve, con la tenacia formidabile dei vecchi attori che non dubitano mai del repertorio: e poi ride di cuore, tutto contento.
Quando si dice che ci ha presi per sfinimento, si dice ancora poco. Il nostro limite è dubitare del repertorio, riconoscerci consumati, essere (o crederci) troppo esigenti e forse troppo vissuti per godere all’infinito delle stesse vecchie cose. La sua formidabile potenza sta nell’inesauribile piacere di essere com’è, dalla quale discende la certezza assoluta di piacere per forza anche agli altri. Essere Berlusconi non lo appaga mai, gli deve sembrare un dono sublime di Dio o della Fortuna, è l’unico tra i mortali che, smentendo gli antichi, conta di bagnarsi due volte o anche tre nello stesso fiume. Per questo, quando sarà prima al Quirinale, poi presidente dell’Onu, infine Imperatore della Via Lattea, nelle successive cerimonie di insediamento ripeterà la barzelletta di Marx che chiede scusa, e riderà di gusto. Il problema non è dunque sapere dove sarà lui, ma dove, e se, avremo trovato riparo noi.

Tutti i santi giorni di Michele Serra

Scrivere tutti i giorni, per anni, usando il materiale che la cronaca, la politica, il costume ci rovesciano addosso a ritmo forsennato. Scrivere cercando di rifare un poco di ordine, di ridare un minimo di significato alle notizie, agli umori pubblici e privati, alle proprie reazioni. Scrivere com…