Vittorio Zucconi: La rivincita di Cavallo Pazzo, la terra sacra torna ai Sioux

09 Giugno 2008
Le terre di desolata e stupenda bellezza, dove tra resti fossili dei dinosauri crescono soltanto leggende di guerrieri e spettri di bambini uccisi, torneranno a essere abitate dai loro legittimi proprietari, da i nipoti di Nuvola Rossa, di Piccolo Grande Uomo e soprattutto dallo spirito di colui che su di esse regna e aleggia, da Cavallo Pazzo.
Seicento chilometri quadrati di Badlands in South Dakota, di male terre impossibili da coltivare e difficilissime da attraversare per chi non ne conosca le trappole e i crepacci di sabbia, dove avvenne l’ultima strage di Oglala Sioux a Wounded Knee 118 anni or sono, saranno restituite dall’Esercito degli Stati Uniti che le aveva requisite come poligono di tiro per l’artiglieria, agli Oglala della riserva di Pine Ridge. E se nessun speculatore immobiliare, nessun costruttore di casinò o di parchi di divertimento progetta di invaderle con scavatrici e cemento, per la loro disabitata solitudine lontana da ogni città importante, per il consiglio degli anziani, riunito nella scuola elementare intitolata ovviamente a ‟Tasunka Uitko”, a Cavallo Pazzo, la restituzione delle ‟cattive terre” è un piccolo, ma dovuto gesto di rispetto da parte dell’uomo bianco.
Le ‟mauvaise terres”, come le chiamarono i primi esploratori francesi, le ‟mako’shika” in lingua Lakota che significa la stessa cosa, non sono terre utili. Sono terre sacre. Terra santa, come le chiamerebbero le religioni dei bianchi. Ai piedi delle Montagne Nere, che proteggevano i territori di caccia degli Oglala Lakota, dei Sioux che galoppavano in queste prateria del Nord fino a quando i cercatori scoprirono sciaguramente oro nel suoi ruscelli, le Badlands sono una collezione di calanchi, vallette corrose, sabbia, creste taglienti e scarnificate dal tempo, dove vennero a morire milioni di dinosauri, prima che un migrante venuto dall’Asia vi mettesse piede diecimila anni or sono. Sotto quelle sabbie e protetto da quelle gole raschiate dal vento che al tramonto assumono colori che sbalordirono Fran Lloyd Wright alla sua prima visita (‟non credevo possibile che esistessero luoghi così stupefacenti”), riposano, in un luogo segreto e conosciuto soltanto agli sciamani e alle vecchie profetesse della nazione Sioux, le ossa dell’ultimo guerriero arreso ai soldati blu, dell’eroe che inflisse a Custer e all’arroganza del Settimo Cavalleria la tremenda lezione del Little Big Horn. Cavallo Pazzo.
Nel 1942, subito dopo l’aggressione aeronavale dei giapponesi a Pearl Harbour, gli eredi in kaki dei soldati blu, la US Army, requisì le ‟Maleterre” per addestrare i suoi artiglieri. Ma da anni ormai sono state abbandonate e aggregate al sistema dei Parchi Nazionali, come altri celebri luoghi di turismo, il Parco di Yellowstone o i grandi Canyon del sud ovest, che in realtà erano tutti territori delle nazioni indiane e delle tribù. In questa landa, dove qualche raro ciuffo d’erba e cespuglio ostinato cresce fra l’argilla e le rocce e gli ‟alberi del cotone”, i pioppi sui bordi dei pochi ruscelli, tenendo in vita una popolazione di piccoli roditori e di bellissime volpi dalla coda lunga, il passaggio degli accampamenti militari e dei pochi turisti che vi avventurano hanno lasciato le tracce della loro indifferenza.
Bottiglie, lattine, piccozze, plastica, bossoli di proiettili d’artiglieria, carcasse di veicoli corrosi dal vento e dal sole, scavi per recuperare abusivamente ossa preistoriche e munizioni inesplose, abbandonate quando l’Esercito ha trovato altri poligoni d’addestramento.
Fu qui, nel 1890, che l’ultima battaglia, in realtà un massacro, avvenne, quando i resti delle varie tribù della nazione Lakota, da tempo sterminate e domate, tentarono, nel villaggio di Wounded Knee, una manifestazione di protesta contro le autorità federali che volevano espellerli anche da quell’angolo di nulla a costringerli a chiudersi nelle riserve. Nella confusione, nella paura, e nel ricordo ancora bruciante e amaro della lezione inflitta da Sioux e Cheyenne a Custer e al Settimo Cavalleria vent’anni prima al Little Big Horn, la consegna dei fucili da parte degli indiani che pretendevano di essere pagati per le armi, divenne una sparatoria libera.
Lasciò nella neve che copriva quel giorno la sabbia, più di 300 Lakota e 35 soldati, colpiti dal ‟fuoco amico” nella confusione e nel panico. Molti dei Minoconju e degli Hunkpapa, i Sioux che erano stati anni prima guidati a Toro Seduto, morirono assiderati, congelati come alpini italiani sul Don nel vento polare che d’inverno scende dal Canada su queste terre. Fra loro, l’ultimo capo dei Mineconjou, capo Grande Piede.
Ma se il ritorno delle terre sacre ai legittimi eredi è una tarda riparazione storica alla litania di torti e di prepotenze fatte dagli invasori europei ai nativi, all’”ambientalismo dei parchi fatto a spese dei proprietari indiani” come dice l’etnologo dell’università di Brown Keith Janes, il dramma che questa restituzione apre è il classico di tutta la condizione degli Indiani che ancora vivono nelle riserve. I soldi. Bonificare, prendersi cura e aprire a un turismo controllato, guidato e rispettoso questi 600 km quadrati di nulla, costa soldi. E nelle scuola intitolata al cristo guerriero dei Sioux, a quel Cavallo Pazzo che ‟ancora vive con noi e un giorno tornerà a salvarci”, come viene sussurrato ai bambini, William LaMont, uno dei leader dei circa 20 mila che vivono nella riserva, ha ammesso quello che tutti sanno: ‟Non abbiamo i mezzi per curare le Badlands e abbiamo bisogno dell’aiuto dell’uomo bianco e dei suoi soldi, se vogliamo riprenderle”. Orgogliosi e nobili guerrieri da cent’anni trasformati in bambini bisognosi dell’elemosina di chi li ha ridotti così, per campare. Se campano, perchè è proprio fra i teen agers indiani, e soprattutto Sioux, che le statistiche registrano la massima incidenza di suicidi. Altri spettri fra gli spettri delle terre cattive.

Vittorio Zucconi

Vittorio Zucconi (1944-2019), giornalista e scrittore, è stato condirettore di repubblica.it e direttore di Radio Capital, dove ha condotto TG Zero. Dopo aver cominciato nel 1963 come cronista precario a …