Vittorio Zucconi: Presidenziali USA. Il “tradimento” del vecchio soldato deluso da troppe scelte sbagliate

04 Novembre 2008
Il vecchio generale torna in guerra, per salvare il soldato Obama. Colin Powell, il più grande e rispettato ufficiale e statista afroamericano della storia Usa, muove contro un reduce del Vietnam come lui, John McCain. Lo fa da ufficiale e gentiluomo, con dignità, con autorevolezza, quasi con dolore, con i sentimenti e gli atteggiamenti che mancano alla sempre più sguaiata campagna elettorale repubblicana. Una scelta venuta dopo settimane di dilemmi tormentosi per un vecchio soldato leale, per aiutare un candidato che promette all’America ciò di cui ha disperatamente bisogno dopo 8 anni di Bush: il cambiamento di generazione. Deve essergli costato, questo tradimento, nato dal disgusto per come il suo vecchio commilitone e coetaneo sta conducendo una campagna elettorale nel peggior stile bushista del "terrorizza e vinci". Powell va in guerra contro «Joe the Plumber», Beppe lo Stagnino, la macchietta spaventapasseri dell’"americano della strada" furioso con Obama, inventata dai repubblicani. Scende in trincea contro il razzismo sempre più esplicito, gridato ormai dalla folla nei comizi della graziosa nullità dell’Alaska a colpi di «tornatene in Africa, terrorista rosso», e sussurrato nei robocall, le telefonate registrate che stanno bombardando gli elettori per insinuare che il senatore nero sia «complice di terroristi». Lo fa per salvare la candidatura del figlio di un emigrato nero come lui. Quel Barack Obama improvvisamente a rischio di rimonta sotto le spallate di una propaganda calunniosa, ma, come tutte le calunnie, efficace. È una guerra fratricida, questa fra i due vecchi soldati, combattuta all’interno della stessa generazione di "figli del Vietnam", fra il 71enne Powell e il 72enne McCain, uniti dalla storia personale e politica e ora separati dalla lama di una scelte che proprio il loro atteggiamento rivela in tutta la sua potenza tagliente. Powell vuole che finalmente sia una nuova leva di americani ad assumere la responsabilità della nazione, gente con «idee nuove», capace di «ispirare e di motivare», dotata di quello che a Bush tragicamente mancava e che sta alla radice del suo fiasco come leader, la «curiosità intellettuale», dunque voglia di capire, di conoscere, di imparare, come ha detto ieri. E ha l’autorità per giudicare e consigliare, più dei pappagalli da talk show pagati dalle campagne, dalle star di Hollywood, o dei commentatori seduti davanti al loro computer. Powell, figlio di un tagliatore di «zafra», di canna da zucchero giamaicano emigrato a New York, è l’ufficiale che volontariamente combatté due volte in Vietnam, che guidò la strategia americana da Washington nella Tempesta sul Deserto agli ordini di George Bush il Vecchio nel '90-’91, che per quattro anni fu segretario di Stato per George il Giovane fra il 2001 e il 2005 e molti avrebbero voluto come presidente o vice presidente per il partito repubblicano. Da quando ricevette la prima barretta da sottotenente nel 1958, è l’incarnazione del fedele e leale soldato, con o senza l’uniforme. La sua defezione, la sua spietata critica di McCain e soprattutto di quella offensiva nullità che ha scelto come vice presidente sperando di attirare le donne, la reginetta di bellezza Sarah Palin, sono il segno di una ribellione morale e intellettuale alle menzogne e alle tattiche di una campagna condotta da un McCain che si proclama «il non Bush», ma poi adotta i metodi peggiori, e i personaggi più sinistri, che fecero Bush. L’effetto che l’investitura offerta da Powell a Obama avrà sugli indecisi non sarà necessariamente rivoluzionario, perché raramente questi endorsement, queste benedizioni elettorali di celebrità e di personalità, smuovono grandi numeri elettorali. McCain può vantare la sua brava pattuglia di ex segretari di Stato come Kissinger, Haig, Eagleburger, nel proprio campo, ma nessuno di questi tre, neppure Kissinger, ha la statura umana, la storia personale, il carisma di Colin Powell. Comunque vada la conta finale dei voti il 4 novembre il tradimento del vecchio generale divenuto statista è uno schiaffo personale bruciante per McCain, forse più di quanto sia una spinta a Obama. Powell è, e resta, un repubblicano, un moderato, un uomo della destra storica e pensante. Fu il consigliere per la sicurezza nazionale con Ronald Reagan. Fu capo degli stati maggiori riuniti, la massima carica militare, sotto Bush Primo. Divenne segretario di Stato con Bush Secondo. E fu l’autore di quella che sembrava essere divenuta la dottrina finale, e razionale, per l’impiego della forza armata, fondata sul principio che gli eserciti debbano muoversi soltanto se la missione è chiara, l’appoggio popolare forte e la vittoria ben definibile. Esattamente il contrario di quanto è stato fatto in Iraq e in Afghanistan. Il senso politico del suo annuncio è molto più profondo del mezzo punto percentuale che potrebbe smuovere. Powell ha ripudiato la degenerazione del grande partito di Lincoln, di Eisenhower, di Reagan, di Bush il vecchio, quella follia che lo portò al «giorno più umiliante della mia vita», disse lui, quella tragica mattina del marzo 2001 nella quale il generale segretario di Stato dovette recitare davanti alle Nazioni Unite la sequenza di invenzioni e propaganda spacciata come casus belli contro l’Iraq. Con 21 decorazioni e medaglie, con una storia personale inappuntabile, né pacifista né interventista, Powell vuol dare agli elettori la garanzia che il rischio, il prossimo 4 novembre, non è il giovane senatore dell’Illinois, ma il vecchio e confuso senatore dell’Arizona che sta disonorando sé stesso, e la generazione che si sacrificò in Indocina, con una campagna elettorale ignobile. Aveva torto il generalissimo MacArthur quando disse che «i vecchi soldati non muoiono, ma lentamente si dissolvono». A volte ritornano, per un’ultima carica.

Vittorio Zucconi

Vittorio Zucconi (1944-2019), giornalista e scrittore, è stato condirettore di repubblica.it e direttore di Radio Capital, dove ha condotto TG Zero. Dopo aver cominciato nel 1963 come cronista precario a …