Umberto Galimberti: Lombroso. Un uomo normale e la sua ossessione

02 Ottobre 2009
Non è mai una bella cosa quando i pregiudizi popolari diventano giudizi scientifici. Una scienza particolarmente esposta a questo inconveniente è stata, nella sua storia, la psichiatria, a cui spesso si è affiancata la criminologia, di cui uno dei massimi esponenti, dalla fama e dai riconoscimenti non solo italiani ma europei, è stato Cesare Lombroso, di cui quest’anno si celebra il centenario della morte. A metterci sull’avviso di questo rischio è stato per primo Kant che, nel suo Saggio sulle malattie della testa (1764) annotava che: ‟C’è un genere di medici, i medici della mente, che ritengono di aver scoperto una nuova malattia ogni volta che escogitano un nome nuovo”. La psichiatria dell’Ottocento ne dà conferma a proposito di quanti abbandonano casa, lavoro e vita di tutti i giorni per lunghi viaggi a piedi in tutta Europa. Gli psichiatri di Parigi li qualificano ‟isterici”, quelli di Bordeaux ‟epilettici”. Alla fine si accordano inventando la sindrome ‟istero-epilettica”. Non parliamo poi della specializzazione medica in "malattie respiratoriee masturbatorie", di cui massimo esponente fu lo psichiatra francese Simon Tissot che scrisse un libro sulle malattie mentali generate dalla masturbazione, seguito da Johann Zimmermann, medico personale di Federico II di Prussica, che sposò la teoria di Tissot, con l’unica variante che considerò l’onanismo femminile più gravido di conseguenze morbose di quello maschile. Ma il contributo più significativo nel tradurre i pregiudizi popolari in giudizi scientifici lo dobbiamo proprio a Lombroso che ritiene individuabile il delinquente dall’osservazione dei tratti somatici (le mandibole voluminose, la barba scarsa, i seni frontali salienti, lo sguardo falso, il capello folto, l’orecchio ad ansa, la fronte sfuggente, il prognatismo) e, dalla diversa composizione di questi tratti somatici, ne discende una classificazione che prevede, con una denominazione tratta dal linguaggio popolare, il tipo scrofoloso, il tipo cretino, il tipo pazzesco, il tipo mattoide, e infine il tipo criminale. Così leggiamo ne L’uomo delinquente (1876-1878), subito tradotto in francese, tedesco e inglese, mentre ne La donna delinquente (1893), la prostituzione viene equiparata alla criminalità nell’uomo. Per Lombroso, infatti, la donna è ‟per natura monogama, per cui si comprende come l’adulterio della donna e non dell’uomo, sia condannato in tutti i popoli”, è insensibile al dolore ‟e questo spiega perché facilmente ricada nella gravidanza nonostante i dolori del parto”, è ‟fondamentalmente immorale, perché non conosce quell’equilibrio tra diritti e doveri ben noto all’uomo”. Dove è evidente che la caratterizzazione riproduce i pregiudizi morali e gli stereotipi della cultura maschilista a tutt’oggi non estinta. In questo scenario di luoghi comuni paludati di scienza non si salva neppure il genio equiparato, in Genio e follia (1864), al pazzo e al delinquente, perché rivoluzionario, poeta maledetto, mattoide, eterogeneo al corpo sociale a causa del suo comportamento abnorme dovuto a degenerazione e/o malattia epilettica. ‟Il genio è inutile e superfluo - scrive Lombroso - perché, se anche anticipa il futuro, precipita i tempi, e anche se gli dà ragione, il tempo non ha bisogno del genio, perché sa fare la sua strada anche senza di lui. Del resto il genio è un fenomeno eterogeneo, sorto al di fuori delle leggi di natura, una produzione di lusso superflua all’andamento delle cose umane”. Ne consegue che a salvarsi è solo l’uomo "normale" che per Lombroso è il ritratto dell’uomo borghese: ‟Privo di genialità, ma onesto, pieno di buon senso e acume critico, incapace di eccessi, anche se per niente creatore”. Ma come abbiamo visto, per Lombroso, il progresso della storia non è garantito dai creatori, ma dagli uomini normali così definiti: ‟Il vero uomo normale non è colto e neppure erudito, esso non fa che lavorare grazie alla sua sanità biologica, al suo buon senso, al suo buon cuore e buon umore. Predilige sé o la famiglia alla patria, la patria all’umanità, ma senza oltrepassare le linee fissate dallo spirito pubblico dell’epoca, della casta, della razza”. Per una strana coincidenza di date, proprio in quegli anni Nietzsche definiva gli uomini, che Lombroso chiamava "normali", ‟piccoli uomini, caratterizzati da una vogliuzza per il giorno, una vogliuzza per la notte, fermo restando la salute. Essi compongono quell’umanità gregge che desidera solo l’animale capo”. Non sappiamo se Gina, la figlia devota di Lombroso, abbia letto Nietzsche. Probabilmente no, e tuttavia ne I vantaggi della degenerazione (1923) scrive: ‟I degenerati, i malati, i deformi, i pazzi, i criminali sono insieme la zavorra e la molla dell’umanità: vivono sì a spese dell’aura mediocritas, ma ad essi è affidata la funzione innovatrice nel mondo, e sopprimendoli si sopprime l’evoluzione e il progresso”. Forse solo la figlia ha colto lo spirito che ha promosso le ricerche del padre, al quale va riconosciuto l’indiscusso merito di aver distinto il pazzo dal criminale e quindi la necessità di togliere i pazzi dal carcere per accoglierli in quelle strutture che saranno poi i manicomi. A questa separazione l’Italia arrivò ultima in Europa, ma settant’anni dopo la morte di Lombroso, fu la prima, con Basaglia, a sancire la chiusura dei manicomi, che l’Organizzazione mondiale della sanità, nel 2003, ha indicato come ‟uno dei pochi eventi innovativi nel campo della psichiatria su scala mondiale”.

Umberto Galimberti

Umberto Galimberti, nato a Monza nel 1942, è stato dal 1976 professore incaricato di Antropologia Culturale e dal 1983 professore associato di Filosofia della Storia. Dal 1999 è professore ordinario …