Umberto Galimberti: I nostri vecchi e la tecnologia

30 Novembre 2009
Non è solo la povertà a generare emarginazione. Anche le nuove tecnologie vi concorrono, creando quel mondo di esclusi che sono le persone anziane, le quali con difficoltà accedono al computer, al telefonino, al bancomat, e, a sentire le cronache di questi giorni, anche alla televisione, per via del passaggio dall’analogico al digitale. Già queste due ultime parole non sono di facile comprensione, ma tutti le abbiamo imparate con la velocità con cui impariamo il linguaggio scientifico dei medici quando la malattia insidia la nostra vita, allarmandoci. Le persone anziane, che nella civiltà occidentale costituiscono il 30 per cento della popolazione, vivono aggrappate alle loro abitudini acquisite nel passato, che è l’orizzonte di orientamento per condurre la loro vita che ha bisogno più di rassicurazioni che di nuovi stimoli. Le nuove tecnologie invece guardano al futuro, e perciò investono sui giovani e non sui vecchi, i quali, di fronte a ogni novità tecnologica, si sentono progressivamente esclusi, spinti sempre più in là, fino alla periferia del mondo sociale, che sempre più rifluisce nel mondo telematico e virtuale. Questo processo di progressiva esclusione, che i vecchi non hanno mai sperimentato quando il tempo era ciclico e consolidato dai ritmi della sua ripetizione, diventa drammatico oggi che le nuove tecnologie inaugurano un tempo che non è più ciclico, ma simile a una freccia lanciata in un futuro che non ripete se stesso, ma avanza con una velocità che la mente senile, più rassicurata dai ricordi che dalle novità, non riesce a rincorrere e a pareggiare. Ma i ritmi della vita non sono i ritmi della tecnica. E lo scollamento che tra questi due ritmi si è già creato produce quell’emarginazione che non fa che accentuare la solitudine dell’anziano, che in questo modo assapora fino in fondo l’incuria del progresso per la sua condizione e, di conseguenza, la sua insignificanza sociale. Sappiamo tutti che la televisione, ad esempio, fa compagnia alle persone anziane che la guardano non perché sono teledipendenti, ma perché, per molti di loro, è l’unico contatto che possono avere col mondo che, in termini reali, in termini di persone fisiche, intorno a loro si è sempre più rarefatto, per cui il mondo teletrasmesso finisce con l’essere l’unico che è dato loro di abitare. Perché privarli anche di questo mondo, perché sospenderglielo anche per pochi giorni? Perché i decoder non tutti funzionano, perché sono complicati e non facilitano la risintonizzazione, perché le antenne che si avevano non sono idonee a restituire il segnale digitale, perché i cavi di trasmissione sono corrosi dall’umidità, e infine perché le persone anziane magari non hanno i soldi per cambiare tutte queste cose? Perché la tecnologia, quando si tratta di persone anziane, per ragioni di mercato, non esita a introdurre novità di apparecchi acustici o visivi, di protesi di ogni genere e qualità, e invece trascura quegli accorgimenti e quelle facilitazioni che consentono ai vecchi, molto spesso soli, di avere almeno un mondo televisivo, dopo che abbiamo creato quelle pessime condizioni, per cui la televisione è l’unico mondo a cui possono, sia pure passivamente, partecipare, per non sentirsi del tutto isolati e ignorati dal mondo reale che le nuove tecnologie hanno loro sottratto? Nulla da obiettare alle nuove tecnologie, sono ormai il nostro futuro. E se al futuro non possiamo rinunciare, almeno lo si sorvegli per evitare che, nell’euforia del progresso, non ci si accorga e non ci si prenda cura di quanti lasciamo ai margini della strada, che tutti di corsa percorriamo, senza accorgersi di loro.

Umberto Galimberti

Umberto Galimberti, nato a Monza nel 1942, è stato dal 1976 professore incaricato di Antropologia Culturale e dal 1983 professore associato di Filosofia della Storia. Dal 1999 è professore ordinario …

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