La voce non inganna. Le sue inflessioni, il suo timbro, perfino le sue pause
e i suoi silenzi ci parlano del suo possessore, e ci permettono di riconoscerlo
e conoscerne le intenzioni, cioè di riconoscere il senso di un discorso là
dove la parola scritta deve arrestarsi al solo significato. A partire da qui è
possibile rileggere la storia della voce come rovescio dei grandi temi che hanno
attraversato la filosofia fin dalle sue origini. Figure femminili – dalle
sirene alla ninfa Eco alle cantanti d’opera – disegnano una vicenda della
vocalità che si contrappone al sistema logocentrico della parola, a un sistema
cioè che astrae dalle differenze individuali per poter "teorizzare",
per poter "vedere", come indica la radice greca del verbo. La voce, a
differenza della vista che non richiede la presenza di un altro, è sempre
relazionale. Ciò che si scopre, dunque, tenendo in mano il filo d’Arianna
della vocalità è una comunità in cui la parola sgorga da una pluralità di
voci, uniche e relazionali, che "risuonano" l’una con l’altra. Si
delinea così la possibilità di ricostruire un immaginario che nulla ha a che
vedere con quello classico della filosofia. In grado, inoltre, di avere ricadute
anche di natura politica in virtù delle prospettive nuove che una simile
posizione comporta.