Maurizio Maggiani: Stocco

22 Luglio 2002
Stoccafisso, stocco, stoccofisso, pesce bastone, bastone di pesce, pesce seccato sul bastone; pesce nel modo di un bastone. Viene in mente subito l'odore e con quello la penombra di certi vecchi negozi di alimentari, la pasta più economica nei sacchi di carta e la migliore nelle cassettiere con il vetro per vederla, la farina nella tela bianca spessa e lo stoccafisso nel sacco di juta nel punto più discosto. In certi di quei negozi la vaschetta con la cannella di acqua corrente e lo stocco a bagno, e in un'altra il baccalà, perché l'odore non piace solo ai bambini, che gli fa venire in mente chissà perché il sigaro toscano, ma nemmeno alle donne che se lo devono tenere una settimana in cucina ad ammollare e allora è meglio prenderlo già bagnato e sceglierlo dalla vasca al suo punto giusto, né asciutto, né gonfio. Forse l'odore dello stoccafisso non piace proprio a nessuno, ma per chi se ne nutre è talmente famigliare, talmente amabile il cibarsene, che gli si diventa complici come di un marito o di una moglie da troppi anni inquilini di un unico letto e di un'unica vicenda da potersi rinfacciare l'odore.
Il pesce bastone è un cibo tanto antico che nessuno ricorda come è cominciato. Viene da un'unica parte del mondo: il mare tra Norvegia, Islanda e Terranova. Quando è vivo è un merluzzo, non un merluzzo qualsiasi, ma quello detto cod o torsk, pesce di acque gelide e quindi corridore frenetico, di fisico asciutto e carne compatta. Si pesca da febbraio ad aprile raramente con le reti, generalmente con la lenza e l'amo, uno alla volta. Si taglia testa e buzzi e a terra se ne mette una parte ad essicare su lunghi filari all'aria e al sole e una parte si sala. Dopo un po' quello seccato diventa stoccafisso, l'altro è baccalà. Diciamolo una volta per tutte anche ai veneti: lo stoccafisso è merluzzo seccato all'aria, il baccalà è merluzzo salato. E' meglio l'uno o l'altro? E' solo, esclusivamente questione di gusti: il pesce è lo stesso. Ragioni disperse nel palato atavico fanno degli italiani i primi consumatori mondiali di merluzzo seccato. Così che noi quì parliamo dello stocco.
E allora bisogna sapere che gli italiani se ne cibano con gusto da almeno cinquecento anni e per la loro stragrande maggioranza l'unica riserva consistente di proteine per un bel po' di secoli; e siccome le proteine vanno dritte al cervello, capirete bene voi di quali eventi lo stoccafisso si è reso indiretto autore. Tutto è cominciato quando una misteriosa e tremenda tragedia ecologica fece sparire dai mari le aringhe. Fino ad allora erano state queste confezioni tascabili di proteine ad alimentare l'Italia e l'Europa delle piane delle valli e delle montagne, viaggiando affumicate in comodi barilotti. I pescatori spagnoli francesi ed inglesi (e magari qualcheduno anche dei nostri) cominciarono a darsi da fare con il merluzzo, sempre più a nord, dove i Vichinghi da migliaia di anni se lo seccavano e se lo mangiavano per conto loro. Nel seicento lo stocco era un alimento così diffuso che esistevano stazioni di essicamento anche nelle alte valli di Savoia; prima della seconda guerra lo si continuava ad essicare ancora in certe valli tra Piemonte e Val d'Aosta dove l'aria è propizia e dove in teoria si potrebbe continuare a farlo avendocene voglia. Infinitamente più facile da trasportare, ce se ne può mettere uno sottobraccio e portarlo in giro per il mondo, meno rischioso da conservare, con il più vantaggioso rapporto peso-potenza (per fare un kilo di secco occorrono cinque chili di merluzzo fresco, contro i due per ricavarne uno di baccalà), lo stoccafisso è entrato nell'etnia gastronomica di tutta l'Italia povera e affamata, dell'infinita Italia dei senzavacche, della polenta e della castagna.
Tra le bellezze dello stocco c'è che è rimasto uguale a se stesso nei millenni: è un alimento impossibile da alterare, sintetizzare, truccare. Il massimo della truffa possibile la compiono i commercianti, che vendendolo ammollato, lo gonfiano troppo d'acqua, facendola pagare. I mangiatori di vitello e di tonno al grissino prediligono le carni candide e quelle nello stocco si ottengono con ammolli prolungati: se così lo vogliono ben gli sta; naturalmente lo stoccafisso pronto a puntino ha un bel colore scuretto, come lo ha il vero tonno, quello che si taglia col coltello.
Un'altra sua bellezza è la splendida performance dietologica: è cibo ricco, sano, digeribile (preso durante i pasti ovviamente), di facile presa tra le ganasce. Non è cibo completo, ma ci vuol poco: patate, cipolle, pomodori, frutti di bosco e sottobosco. Alla visita organolettica risulta caldo, vigoroso, autunnale, colore opalino ambrato in traluce, profumo di stocco, odoricchio di lieve tostatura in fumigagione di legno d'abete sentore di mare lontano, di primule appena recise, di crosticine di pane; erotico palpitare al palato, sensitivo retrogusto di barbera leggermente intiepidito, appagante sensazione di sazietà. O no?
Chi lo mangia? Ormai quasi più nessuno, se è vero, come è detto più sotto che le importazioni sono un decimo rispetto a venti anni fa’. Continuano a farne uso i liguri, i piemontesi, i veneti (che si ostinano a chiamarlo baccalà in spregio all'unità d'Italia), i marchigiani, i napoletani e i siciliani.I veneti vanno pazzi per il tipo "Ragno", un po' più magro degli altri, ma nemmeno un negoziante può distinguerlo da un altro tipo; mangiandolo poi anche un professionista norvegese può solo distinguere tra stocco buono e cattivo. Non è certo un cibo da cucinini e pranzi sveltini: è antico e nobile e dunque chiede lavoro e dedizione. Chiede anche sensibilità, buon gusto e appetito, vuole casalinghe e casalinghi aristocratici che godano dell'iperbolico snobismo nel portarsi a casa uno stocco sotto il braccio. Chiede buona educazione alimentare e voglia di tramandarla. Un problema perché lo stocco può affidarsi solo a se stesso, che non si riesce neanche a fargli pubblicità da tanto che è bruttino a vedersi e nemmeno Krizia gli potrebbe mettergli addosso qualcosa di presentabile.
Le informazioni, i numeri dello stoccafisso, ce li siamo fatti dare in Darsena, al porto vecchio di Genova, la casba di bottegucce di legno arrembate ai magazzini, da dove ancora si dilegua negli intricati rivoli del commerciare, tutto il ben di dio trasportabile via mare. In uno di questi scagni la ditta De benedetti traffica in stoccafisso e baccala e acciughe salate e altro ormai da settant'anni. Con l'aristocratica e distaccata saudagi che forse i portoghesi hanno perso, ma non ancora i genovesi in riguardo alle loro intraprese, ci hanno spiegato molto di quello che già abbiamo detto e qualcos'altro. Ad esempio che ogni anno di merluzzo per stocco se ne pesca di meno e di meno pregiato, si secca in meno tempo e, a volte, con meno attenzione e si vende, ovviamente, a molto di più. Così che in dieci anni i prezzi sono decuplicati e i consumi esattamente l'opposto: dieci volte inferiori. La gente continua a mangiare stoccafisso quanto ai bei vecchi tempi solo, guarda un po', nelle zone più povere: a Napoli, ad esempio, dove addirittura lo pagano più caro e più gonfiato di acqua che altrove. Fuori dallo scagno, gli operai della compagnia scaricano odorose balle di juta con dentro il prezioso stocco delle isole Lofoten: in tutt'Italia quest'anno ne arriveranno più o meno cinquantamila di cinquanta kili ciascuna. Ce le mangeremo pagandolo un occhio della testa, quasi certamente più caro del salmone affumicato. Per forza: siamo noi che abbiamo cantato a tutto il mondo " hoi mama che tociade: poenta e baccalà".

Maurizio Maggiani

Maurizio Maggiani (Castelnuovo Magra, La Spezia, 1951) con Feltrinelli ha pubblicato: Vi ho già tutti sognato una volta (1990), Felice alla guerra (1992), màuri màuri (1989, e poi 1996), Il …